Nel Pd è duello sui posti. I renziani minacciano: potremmo restare fuori

Matteo Renzi
Matteo Renzi
di Simone Canettieri
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Mercoledì 28 Agosto 2019, 07:50 - Ultimo aggiornamento: 07:52

«Se è così si torna al voto». Quando Nicola Zingaretti legge che la riunione mattutina (fissata per le 11) con Luigi Di Maio e il premier Giuseppe Conte è stata annullata vede nero e chiama il presidente del Consiglio: «Mi dispiace ma o prendi in mano la situazione o salta tutto», è il senso della telefonata, che viene fatta filtrare dal Nazareno.

Il colloquio serve a superare lo stallo, tanto che nel pomeriggio le delegazioni dem e M5S tornano a parlarsi, dopo ore di reciproche accuse sulla casella del Viminale che Di Maio vorrebbe intestarsi. Anche perché il primo a dire «no» dal Pd è un renziano di peso Francesco Bonifazi: «Allora meglio tornare al voto». Una fuga in avanti, l'ennesima, che arriva dall'area dell'ex premier fiorentino. Una presenza che scompare, quella di Renzi, per tutta la giornata, salvo riapparire in serata, quando il quadro sembra più chiaro.

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LA STOCCATA
Perché è proprio un parlamentare «di peso» molto vicino a Renzi a dire: «Per noi questo sarà un governo amico, ma potremmo rimanerne fuori». Ancora una volta la strategia e la verità si mischiano tra loro perché sono ore in cui si decide, nel Pd come nel M5S, «chi andrà e dove».
Dal Nazareno vengono a sapere di questa mossa dell'ex rottamatore e la bollano con una battuta molto caustica: «Ah, i renziani vogliono rimanere fuori? Ma se ci hanno appena chiesto tre ministeri!». L'ombra del sospetto non lascia mai l'ex segretario del Pd. Sarà la prossima Leopolda in programma a ottobre l'occasione per annunciare una scissione tante volte evocata? «Sono solo suggestioni», taglia corto il deputato Dario Parrini, toscanissimo.
I DUBBI

Zingaretti sa che la scissione rimane «un'evenienza», ma al momento sta giocando un'altra partita. Non ha mai smaniato per l'alleanza giallorossa, ma ormai la trattativa è arrivata a un punto di non ritorno. «Ci sono molte spinte per andare avanti - raccontano gli uomini più vicini al governatore segretario - per Nicola l'importante è tenere l'asticella alta». Dunque dopo aver detto sì al Conte-Bis, è pronto alle barricate sul ruolo di Di Maio vicepremier: «Io non entro nel governo e rimarrò a fare il presidente della Regione Lazio, dunque se un leader non fa il vice, anche l'altro deve rimanere fuori da questo ruolo». Sempre Zingaretti sa che sta conducendo una trattativa molto complicata all'esterno e di riflesso dentro il Pd. La maggioranza che lo ha sostenuto alle ultime primarie è compatta. In serata - dopo una segreteria lampo - riunisce Andrea Orlando, Dario Franceschini, Paolo Gentiloni. Si stringono i ranghi per arrivare all'ultimo miglio. Ha il suo da fare, il segretario Pd per cercare di sedare le fughe in avanti di un partito molto complesso che adesso inizia allegramente a spaccarsi sui ministri da piazzare. Girano liste ad personam (nel senso della corrente), ma Zingaretti parte da una considerazione che sta conducendo a nome di tutti: arrivare a «8-8» in consiglio dei ministri.
 



Per evitare dunque che, al di là della schiacciante maggioranza parlamentare dei grillini, in Cdm non ci siano disparità. Un elemento già visto nella passata gestione grillo-leghista. L'ultimo passaggio, quello più importante, ci sarà questa mattina quando la direzione del Pd darà il via libera all'alleanza con i grillini e al Conte bis. Uno scenario che Zingaretti ha comunque cercato di evitare: «Sta facendo resistenza passiva, stile Solidarno», spiega con una battuta un dirigente della sua segreteria. Con le consultazioni di oggi per il Pd inizia un'altra fase. Che potrebbe essere fatta digerire ai militanti anche con un'iniziativa in piazza con gazebo informativi su questa «nuova cosa».
 

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