G20, Joe Biden e la missione europea per sbloccare le merci

Summit “fuori sacco” con i leader Ue sulla crisi dell’approvvigionamento

G20, Joe Biden e la missione europea per sbloccare le merci
G20, Joe Biden e la missione europea per sbloccare le merci
di Anna Guaita e Jacopo Orsini
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Sabato 30 Ottobre 2021, 00:12 - Ultimo aggiornamento: 12:11

«Occhi al futuro». La squadra di Joe Biden insiste che questa è la missione che il presidente si è prefissato durante il viaggio europeo. Occhi puntati cioè a risolvere insieme una serie di problemi che i due continenti condividono e che minacciano il futuro dell’ambiente e dell’economia, una serie di partite con cui Biden sta già lottando a casa e che non può risolvere senza un accordo internazionale. Biden è partito senza portare con sé l’approvazione del suo pacchetto sulle infrastrutture, ma almeno può citare il «serio impegno» da parte del suo partito che ha raggiunto «un accordo sulla struttura» dei giganteschi investimenti dei prossimi dieci anni.

Quel pacchetto contiene finanziamenti per una buona parte dei problemi che i Paesi del G20 hanno in comune con gli Usa: investimenti per l’energia pulita in difesa dell’ambiente, la creazione di «nuove catene di approvvigionamento resilienti» per evitare future crisi della catena di distribuzione come quella che sta attanagliando gli Usa e minaccia l’Europa, la produzione e diffusione di sufficienti dosi di vaccino anti-Covid nel resto del mondo per fermare definitivamente la pandemia e la prevenzione di nuove pandemie. 

La Casa Bianca guarda in particolare al problema degli approvvigionamenti.

La chiusura delle fabbriche avvenuta a causa delle restrizioni imposte durante la pandemia, e la forte ripresa dell’economia di questi mesi, hanno reso difficili le forniture di molti prodotti in tutto il mondo. Ma soprattutto la scarsità di container, dovuta sempre all’emergenza Covid, ha frenato l’arrivo delle merci dalla “fabbrica del mondo”, la Cina. Mettendo a rischio anche l’arrivo dei regali di Natale.

Al centro dell’attenzione c’è soprattutto la scarsità di chip, un componente sempre più fondamentale per le auto, che ha messo in crisi la produzione di tutto il settore. Oggi, a margine del G20 romano, Biden ha organizzato un incontro sui problemi della catena globale di forniture per coordinarsi con gli altri leader e migliorare la cooperazione con l’Europa. «I rischi legati agli approvvigionamenti sono già reali e sono degli ostacoli alla crescita per i mesi a venire», ha detto ieri il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire.

 

LE PARTITE

Ma per il presidente degli Stati Uniti sono aperte con gli alleati internazionali anche partite più squisitamente politiche, come la firma di un nuovo accordo che blocchi la corsa di Teheran verso le armi nucleari, per non parlare dei contrasti con la Cina, che rimangono profondi come durante la presidenza Trump. Vari osservatori politici americani sostengono che su questi fronti per Biden non sia sufficiente «il semplice fatto di non essere Trump», che il presidente abbia cioè bisogno di avere l’Europa dalla sua parte. Ecco dunque l’importanza dei giorni romani, durante i quali per quanto Biden possa voler puntare gli occhi sul futuro, ha dovuto guardare indietro agli sgarbi che proprio lui ha fatto ad alleati storici come la Francia e come la Nato.

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Il ritiro dall’Afghanistan, gestito maldestramente dando agli alleati un preavviso che sembrava quasi un ultimatum, e il passo falso dell’accordo con l’Australia per la vendita di sommergibili americani invece che francesi, sono torti fatti dopo che Biden aveva ricevuto un benvenuto affettuoso al G7 dello scorso giugno, da un’Europa felice di essersi lasciata alle spalle un presidente isolazionista e autoritario come Trump. Su tutti questi fronti aperti, a sorpresa, sembra che proprio noi italiani siamo diventati interlocutori cruciali per la Casa Bianca. Draghi in particolare è visto al momento come il leader più importante e affidabile nel palcoscenico Ue, a ridosso dell’uscita di Angela Merkel. Il premier ha qualcosa che per la squadra americana vale un Perù, come afferma il New York Times: la fama di aver salvato l’euro e di aver riportato l’Italia a un ruolo di peso internazionale.

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