Enrico Letta: «Con Gualtieri sindaco Roma al centro dell’Europa»

Il leader Pd: «Le urne mi converrebbero, ma chiederle adesso è da irresponsabili»

Enrico Letta: «Con Gualtieri sindaco Roma al centro dell Europa»
Enrico Letta: «Con Gualtieri sindaco Roma al centro dell’Europa»
di Barbara Jerkov
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Mercoledì 20 Ottobre 2021, 00:09 - Ultimo aggiornamento: 11:26

Il 5 a zero del Pd nelle grandi città apre una stagione nuova per la sinistra. Non siete più il partito delle Ztl, ha già detto qualcuno. Resta il fatto che a Roma le periferie non sono andate a votare e l’astensione non è mai stata così alta: un dato che la preoccupa segretario Letta?

«L’astensione è ovviamente un problema molto grosso, purtroppo una tendenza andata crescendo in questi anni. Noi abbiamo cominciato un recupero nelle periferie ma siamo solo all’inizio, e non mi faccio illusioni che queste elezioni siano per il Pd la soluzione dei problemi. Il fatto che abbiamo vinto quasi tutti i municipi è un buon segnale, perché è da lì, da un buon lavoro di prossimità, che possiamo recuperare le periferie».

Un altro dato di queste elezioni è l’assenza clamorosa di donne tra i candidati sindaco. Un brutto segnale, da tutti i partiti.

«È così, faccio seriamente autocritica. I candidati noi li scegliamo con le primarie, il problema vero è che abbiamo un sistema che finisce per selezionare per le cariche monocratiche candidature maschili. Una tendenza inerziale che abbiamo rovesciare, e mi impegno a farlo con determinazione».

Roma ha bisogno di rilancio, di crescita, di realizzare uno status internazionale che la metta finalmente alla pari con le altre grandi capitali mondiali. 

«Credo che Gualtieri arrivi veramente al momento giusto per Roma. Nei prossimi anni la città si giocherà tre partite fondamentali: Pnrr, Giubileo ed Expo. Tre capitoli tutti e tre internazionali. A me ha colpito molto vedere quanto Gualtieri fosse in connessione con i sindaci delle più importanti città europee - da Parigi a Londra a Barcellona - e con chi decide a Bruxelles. La sua elezione è davvero una bella notizia per Roma: avere un sindaco che è di casa a Bruxelles, ormai metà delle decisioni-chiave è lì che si prende. E capace di riportare Roma al centro di questo reticolato di rapporti con le altre grandi metropoli, come è giusto che sia».

Per quanto riguarda il Pd a Roma, però, c’è un passato che i romani faticano a dimenticare, culminato con il commissariamento del partito capitolino. Cosa risponde a chi teme che ora riparta la lotta tra le correnti, pregiudicando il rilancio della Capitale di cui stava parlando?

«Rispondo che questo pericolo non esiste, dal momento che c’è un rapporto strettissimo tra Gualtieri e il partito nazionale. Io stesso sarò garante del fatto che questa sindacatura avrà dietro un partito al servizio del suo successo e non, come accadde con Ignazio Marino, un partito contro».

Le correnti, però, sono un partito nel partito, almeno a Roma, che ha sempre lottato per il potere anche alle spalle del sindaco. Insisto: perché stavolta dovrebbe essere diverso, segretario?

«Perché stavolta c’è un sindaco forte. Forte sia per il suo profilo - è stato ministro dell’Economia - sia per essere stato eletto con il 60% dei voti al secondo turno. E anche per come è fatto Roberto, che nella sua carriera ha dimostrato di saper mediare, lo ricordo da presidente della Commissione monetaria del Parlamento europeo, una grande palestra di mediazione. Ma ha saputo anche decidere: non dimentichiamoci che è stato il ministro che ha tenuto il cordone della borsa nell’anno e mezzo della pandemia, ottenendo per l’Italia, insieme a Conte, i fondi del Pnrr».

Avete voluto festeggiare insieme la sua elezione in piazza Santi Apostoli. Non per caso, ha voluto sottolineare, rimarcando i legami con l’Ulivo prodiano. Ecco, venendo alla politica nazionale, ma come lo immagina lei questo nuovo Ulivo di cui si sente tanto parlare a sinistra? Soprattutto, con quali confini e quale legge elettorale?

«Andiamo per ordine.

Siamo all’inizio di un percorso, abbiamo di fronte un anno e mezzo di vita della legislatura prima di tornare al voto. La legge elettorale è quella che abbiamo oggi e non sembra facile creare le condizioni in Parlamento per cambiarla. Punto. A me non piace questa legge elettorale, sia chiaro, non la sto difendendo. Sono solo realista. Detto questo, il lavoro che sto facendo lo sto facendo sulla scia di Zingaretti, su un terreno che è stato molto ben arato e seminato da lui: la foto di ieri di noi tre - Roberto, Nicola ed io - è una foto vera, una squadra vera, ed è questo che ci ha fatto vincere. Anche la vicenda di Roma: c’è stata una gestione comune di tutti i passaggi, tutti, anche non semplici, che sono la garanzia anche per il futuro. Siamo tre che si fidano l’uno dell’altro, che sanno come affrontare i problemi e risolverli».

Letta in Aula al primo giorno da deputato per informativa Lamorgese

Tornando al nuovo Ulivo, segretario. Lei come lo immagina? 

«Queste elezioni hanno certificato la vittoria di una coalizione larga, di uno spirito inclusivo e di una generosità da parte del Pd molto importante in giro per l’Italia. Questa fase che si apre adesso è nuova, non bisogna pensare alla riproposizione sic et simpliciter di vecchi schemi politici. Il Pd al momento ne è la parte più importante, il perno: dobbiamo continuare ad essere inclusivi, generosi, ad allargare. Nella direzione di martedì prossimo lancerò proprio questa nuova fase delle agorà telematiche per l’allargamento. So benissimo che la sua domanda è quali sono i confini. E’ evidente che a Roma al primo turno i confini erano quelli di un centrosinistra “stretto”, tanto che abbiamo avuto due candidature come quelle di Calenda e di Raggi fuori. Al secondo turno però tutti i dati dimostrano che Gualtieri ha raddoppiato il numero di voti assoluti, attraendo i voti di coloro che avevano votato Raggi e Calenda, con una capacità attrattiva enorme. A Siena, al contrario, abbiamo corso uniti da subito alla suppletive, ottenendo anche lì un risultato ottimo. Questo schema flessibile lo affineremo, ci lavoreremo, ma il mio obiettivo è sviluppare lo spirito federatore del Pd, e ci metterò tutta la determinazione e la pazienza di cui sono capace perché si è dimostrato vincente».

Con una punta di malizia Calenda ha sottolineato che la sua convinzione che si vince mettendo insieme tutti, da Calenda a Conte, trascura il non piccolo dettaglio che i 5Stelle escono praticamente azzerati nelle città. Cosa risponde a chi pensa non abbia più senso includere anche loro in questa alleanza?

«Rispondo che i 5Stelle sono il partito di maggioranza relativa in Parlamento. Fare un ragionamento legato al fixing del momento non mi è mai appartenuto. Questa legislatura dura e durerà per un altro anno e mezzo, e M5S è un movimento che - oltre a risultati significativi in città come Napoli e Torino - in questo Parlamento ha più del doppio dei nostri parlamentari. So benissimo che quello che le ho disegnato non è un percorso che si risolve in una mattina. Ci vuole pazienza, convergenza, ma queste elezioni sono state un passo molto avanti nella direzione verso cui io lavoro. Mi aspetto nei prossimi mesi perplessità, distinguo, dubbi, ma sono sicuro che ci arriveremo. Perché è la logica che porta lì».

Ha già detto per due volte, in questa nostra chiacchierata, che non vede le elezioni politiche se non tra un anno e mezzo. Eppure nello stesso Pd c’è chi in queste ore si sta chiedendo perché non tornare a votare quanto prima, così da massimizzare il successo delle comunali...

«Per quanto è nel mio potere io farò esattamente tutto l’opposto: farò di tutto perché questa legislatura garantisca un governo forte come l’attuale per ottemperare agli impegni che ci siamo presi con l’Europa. Abbiamo avuto dalla Ue quasi 100 miliardi di euro di aiuti a fondo perduto: questo richiede da parte nostra serietà. Pagheremmo per decenni se non fossimo seri nell’utilizzo di questi fondi. So com’è fatta la politica italiana: tra la fine di una legislatura e l’inizio della legislatura successiva passano sei mesi. E invece l’anno prossimo è il più importante per far decollare l’utilizzo della spesa dei fondi europei. Il futuro del Paese dipende da questo. In questo momento io potrei avere interesse a votare, certo. Oggi sono tornato in Parlamento dopo anni, per il mio “secondo primo giorno di scuola”, e le confesso che mi ha colpito quanto piccolo sia lo spicchio dei nostri spazi in aula. Io sedevo in una Camera dove occupavamo quasi metà emiciclo... Ma se il nostro spicchio si allarga e contestualmente l’Italia perde questa grande occasione, non servirebbe a nessuno. Gli stessi italiani l’hanno detto chiaramente con questo voto: vogliono un governo che governi, li faccia uscire dalla pandemia, usi bene i fondi europei».

Se Draghi dovesse andare al Quirinale lei crede che la legislatura potrebbe continuare? O sta dicendo che Draghi è meglio che resti a palazzo Chigi?

«Ho già detto che di Quirinale parlo dal primo gennaio. Oggi dobbiamo parlare di come approvare una buona legge di Bilancio che abbia come parole chiave Salute, Scuola, Lavoro, Sostenibilità. Questi, e la spesa dei fondi Ue, sono i temi per i prossimi due mesi. Poiché abbiamo la fortuna di avere un premier come Draghi e un governo forte, dobbiamo concentrarci su massimizzare al massimo i vantaggi per l’Italia di questa situazione».

Per il dopo Mattarella circola il nome di Giuliano Amato. Lei cosa ne pensa?

«Non parlo di Quirinale».

Lei, a caldo, ha detto che il voto di domenica e lunedì rafforza Draghi, ma la prima reazione di Meloni è stata chiedere a Salvini di uscire dal governo. C’è questo rischio?

«Dovessi scommettere, scommetterei di no. I motivi che hanno costretto Salvini a entrare nel governo restano: mi sembra che i veri stakeholder della Lega vogliono tutti che rimanga. Poi, se invece dovessero staccarsi, per noi non cambia niente: lavoreremo a sostegno di Draghi che ci siano oppure no».

E per quanto riguarda Forza Italia, immagina un chiarimento a destra per cui il dialogo tra voi e la parte più moderata del centrodestra potrebbe portare a nuovi equilibri?

«Queste elezioni hanno sancito purtroppo la predominanza totale di FdI e Lega nel centrodestra, le risponderei che sarei contento se ci fossero i margini perché FI si staccasse da loro, ma mi sembra francamente poco probabile».

 

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