Draghi, mano tesa a Grillo: mossa sul salario minimo per ottenere la fiducia M5S

Il piano del premier verso il voto al Senato: stipendi adeguati al settore di riferimento

Draghi, mano tesa a Grillo: mossa sul salario minimo per ottenere la fiducia M5S
Draghi, mano tesa a Grillo: mossa sul salario minimo per ottenere la fiducia M5S
di Francesco Malfetano
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Sabato 9 Luglio 2022, 23:23 - Ultimo aggiornamento: 11 Luglio, 00:12

«Prima del voto qualcosa si troverà». C’è tranquillità ai vertici dell’esecutivo. La mina della fiducia al Dl Aiuti, sono convinti, sarà disinnescata appena prima di arrivare a palazzo Madama. E per farlo si pescherà tra i 9 punti presentati da Giuseppe Conte al premier Mario Draghi, scegliendo quelli che più paiono coincidenti con l’agenda già definita del governo. L’idea, più che di trovare un compromesso, è di offrire una soluzione al leader pentastellato. Cioè un qualche segnale che l’avvocato può decriptare nel linguaggio grillino e vendere ai suoi come una prima vittoria in quella che si annuncia come una battaglia campale da qui alla fine della legislatura. «Magari martedì è il giorno buono» si ragiona a palazzo Chigi, riferendosi al vertice programmato tra il premier e i sindacati.

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SECONDO PUNTO

Il pensiero corre allora al secondo punto del documento del M5S, quello che considera «assolutamente urgente l’introduzione del cosiddetto salario minimo».

Vale a dire anche l’ultima indicazione offerta con uno dei suoi profetici post da Beppe Grillo che, com’è ormai chiaro, ha un canale diretto con il premier. «Restituiamo dignità ai lavoratori, ora. È la nostra battaglia di civiltà!», ha concluso un suo lungo intervento l’ex comico qualche giorno fa. 

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In realtà la richiesta dell’Elevato è quella di attuare la proposta - bloccata da mesi in Aula - a prima firma della ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo. E cioè introdurre una soglia minima inderogabile fissata a 9 euro per poi rafforzare la contrattazione collettiva e porre fine ai cosiddetti contratti “pirata”. Un piano che non è del tutto sovrapponibile a quello che ha in mente l’attuale ministro del Lavoro Andrea Orlando. Ma che, garantisce chi ha lavorato al dossier, «ci assomiglia abbastanza» per scardinare le resistenze grilline.
Il dem infatti martedì si presenterà davanti ai sindacati con una sua ricetta, ormai piuttosto chiara, già delineata all’indomani dell’emanazione della direttiva europea sul salario minimo del mese scorso. Una soluzione che potenzialmente andrebbe anche oltre i 9 euro della richiesta grillina perché l’idea è far derivare il salario minimo di ogni comparto «dai contratti comparativamente più rappresentativi». E cioè puntare a rendere obbligatorio il contratto migliore già adottato in ciascuno dei settori presi in considerazione.
L’intervento però, hanno chiarito più volte dal Lavoro, per essere davvero efficace (ed accettabile anche per il centrodestra) deve essere legato anche ad una riduzione del cuneo fiscale. Ossia al taglio della differenza tra quanto un datore di lavoro versa al lordo (incluse tasse, contributi sociali a carico dello stesso lavoratore e del datore di lavoro) e la somma che finisce nelle tasche del dipendente. In questo modo peraltro si proteggono anche gli stipendi, almeno in parte, dalla corsa dell’inflazione. 
Una mano tesa del governo a lavoratori e imprese che potrebbe mettere d’accordo tutti: partiti, sindacati e associazioni di categoria. Tuttavia, al netto di questo primo segnale di apertura, l’iter si annuncia lungo perché se le parti sociali approveranno la proposta di Orlando spetterà poi alla politica trovare un’intesa di massima. E, quindi, palazzo Chigi avrà tempo fino a fine legislatura per presentare una proposta strutturale da presentare alle Camere. Dati i tempi stretti infatti, è decisamente improbabile che possa essere il Parlamento a legiferare.

 

I DOSSIER

Tutto è bene quel che finisce bene? Non proprio. A palazzo Chigi si ragiona con attenzione sul messaggio da lasciar passare in questa occasione. Ovvero, non si può far intendere ai cinquestelle che otterranno tutto ciò che chiedono. Oppure ci si ritroverebbe con tutti i partiti che bussano alla porta di Draghi con il cappello in mano. Quindi se è vero che in nome del maggior coinvolgimento negli atti del governo «giovedì scorso è stata fatta un’apertura» inviando in anticipo i dossier che sarebbero finiti nel Cdm del pomeriggio al capodelegazione M5S Stefano Patuanelli (e quelli di tutte le altre forze politiche), non lo è affatto che questo sarà il modus operandi di ogni Consiglio. Anzi. «Su alcuni testi non c’è stata condivisione e non ci sarà» spiegano, altrimenti ci ritroveremmo «in una situazione sempre più caotica».

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