Draghi per ora resiste. «Conte apre alla fiducia? Ciò che conta è rinunciare agli ultimatum»

Per rinunciare alle dimissioni, il premier vuole garanzie di lealtà da Conte e Salvini

Draghi per ora resiste. «Conte apre alla fiducia? Ciò che conta è rinunciare agli ultimatum»
Draghi per ora resiste. «Conte apre alla fiducia? Ciò che conta è rinunciare agli ultimatum»
di Alberto Gentili
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Domenica 17 Luglio 2022, 00:59 - Ultimo aggiornamento: 18 Luglio, 11:28

«Draghi è Draghi, non è mica Giuseppi...». Questa frase, sganciata da chi conosce bene il premier, è la prova provata che le pressioni internazionali, il pressing di Joe Biden e delle cancellerie europee, non sono sufficienti per spingere il presidente del Consiglio a rinunciare alle dimissioni. Tanto più che Giuseppe Conte, che nell’agosto del 2019 restò a palazzo Chigi con la benedizione di Donald Trump dopo la crisi aperta da Matteo Salvini, ieri sera si è lanciato in quella che fonti di governo definiscono «una nuova capriola», rilanciando la richiesta dell’adozione da parte di Draghi dei nove punti del M5S come condizione per rinnovare la fiducia all’esecutivo. Ma di fatto caldeggiando l’appoggio esterno.

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IL PROBLEMA-CONTE

«Conte è un uomo in difficoltà», dice un ministro vicino al premier, «con il suo intervento non ha fatto nuovi danni, ma neppure ha risolto qualcosa.

Draghi ha già detto che gran parte dei 9 punti fanno parte del suo programma». «In realtà la sortita del leader M5s cambia di poco la questione», aggiunge un’altra fonte che ha parlato con il presidente del Consiglio, «ciò che è decisivo è che Conte e Salvini rinuncino ai diktat e agli ultimatum. Dire sì alla fiducia non basta, poi bisogna poter governare...».

Insomma, affinché Draghi cambi idea e mercoledì non confermi in Parlamento le dimissioni congelate da Sergio Mattarella, dovrebbe accadere ben altro. Certo, il quadro che innescherebbe la crisi sarebbe devastante - instabilità politica ed economica, linea sull’Ucraina in bilico, Pnrr fallito, riforme come concorrenza, giustizia, fisco destinate all’eclissi, misure contro la povertà e l’inflazione da adottare senza poter porre la fiducia, etc. - ma per convincere Draghi a restare non bastano neppure gli appelli della Chiesa, dei sindacati (Landini incluso), degli industriali, sindaci, medici e perfino camionisti.

 

Per spingere il presidente dell Consiglio a rinunciare all’addio, dovrebbe accadere che Conte - incapace di spingere il Movimento a prendere una decisione chiara e con decine di parlamentari pronti a lasciarlo - vada a Canossa. L’ex premier dovrebbe dire di avere scherzato quando, giovedì in Senato, non ha fatto votare la fiducia al governo e promettere di fare il bravo fino alla prossima primavera. Ma non basterebbe neppure questo. Salvini e Silvio Berlusconi, proprio per il pressing nazionale e internazionale, dovrebbero rinunciare alla tentazione di andare a elezioni in autunno. Cosa, questa, più facile: il timore di dover ingoiare Giorgia Meloni a palazzo Chigi è forse più forte della convinzione di poter vincere a mani basse, contro il campo largo di Enrico Letta ormai sgretolato.

«Dal Paese reale, dalla società civile, dalle imprese e dai sindacati, arriva una richiesta unanime di stabilità», dice un sostenitore di rango di Draghi, «speriamo che Salvini e Conte l’ascoltino permettendo al premier di completare il lavoro avviato. Altrimenti ne pagheranno le conseguenze alle urne...». Di certo, c’è che Draghi sa bene che una svolta è molto difficile. Tanto più che «il caos sta aumentando invece di diminuire», come certifica chi gli è vicino. Proprio Salvini e Berlusconi, dopo che il segretario dem Enrico Letta ha chiesto ai 5Stelle di tornare in partita, con Antonio Tajani sono tornati a proporre il Draghi bis senza M5S, ben sapendo che il premier ha escluso questa ipotesi («non ci sarà un altro governo senza i grillini») e che per il Pd sarebbe impossibile sostenerlo. «Non siamo votati al suicidio perenne, non possiamo stare in una maggioranza sbilanciata a destra, meglio le elezioni anticipate...», dice un alto dirigente del Nazareno. 

In più, dovrebbe «ricrearsi un’agibilità politica che attualmente non si vede all’orizzonte», afferma un’altra fonte di governo. Insomma, dovrebbe evaporare appunto il rischio per Draghi di restare fino alla prossima primavera alla guida di un “non governo”, ostaggio dei ricatti di Lega e 5Stelle. E miracolosamente, fra tre giorni in Parlamento, dovrebbe rinascere quella maggioranza di unità nazionale di cui Draghi giovedì ha certificato la fine. Un epilogo da... tutti vissero felici e contenti, che al momento è giudicato «lontano».
Per spingere verso una soluzione, Mattarella ha fatto sapere che se mercoledì Draghi confermerà le dimissioni (dopo aver fatto in Senato le sue comunicazioni), non procederà ad alcun giro di consultazioni per individuare un altro presidente del Consiglio. Si limiterà, il capo dello Stato, a sciogliere immediatamente le Camere. Forse già giovedì o venerdì. L’obiettivo: far votare gli italiani il 25 settembre, in modo da avere la speranza di poter ridare un esecutivo al Paese almeno entro novembre. Comunque in piena sessione di bilancio. E questo sarebbe un unicum, drammatico, della storia repubblicana. 

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