Governo, Draghi si tiene l'Europa e i fili per gestire il Recovery

Governo, Draghi si tiene l'Europa e i fili per gestire il Recovery
Governo, Draghi si tiene l'Europa e i fili per gestire il Recovery
di Marco Conti
5 Minuti di Lettura
Sabato 13 Febbraio 2021, 00:19

Ha scelto la migliore soluzione per il Paese e forse anche l’ultima a disposizione. Più che una scommessa su Mario Draghi quella di Sergio Mattarella è una scommessa sui partiti che ieri sera hanno ascoltato il presidente del Consiglio sciorinare la lista dei ministri conoscendola per la prima volta, per l’intero, dalla tv. Draghi si tiene stretta la gestione dei 209 miliardi del Recovery Plan e la squadra di governo è un mix con un tratto comune: la moderazione e l’europeismo. Un tratto che si coglie soprattutto nella scelta degli esponenti di Lega e FI, ma che emerge anche nei nomi del M5S. 

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I MEDIATORI
Uomini e donne del dialogo, come D’Incà e la Carfagna, ma anche con la scelta di Garavaglia, Giorgetti, Patuanelli e Gelmini.

Niente estremisti, ma gente abituata al confronto e non alle risse. Requisiti importanti in politica soprattutto quando le circostanze obbligano a mettere intorno ad uno stesso tavolo esponenti di partiti molto diversi, alcuni cresciuti a suon di “vaffa”, altri trasfigurati nel tempo.

Le ragioni esposte una decina di giorni fa dal presidente della Repubblica, sono ora sul tavolo del nuovo consiglio dei ministri. Draghi avrà il sostegno del Quirinale, come lo ha avuto il suo predecessore, ma è fondamentale che il consenso dell’ampia maggioranza che lo sostiene resti intatto nel tempo e che si costruisca rapidamente una necessaria armonia. 

La coraggiosa scelta, Mattarella se l’è intestata nell’ultimo anno del suo mandato quando era ormai sin troppo evidente che i partiti avevano esaurito le soluzioni in un momento certamente non facile per il Paese. I motivi Mattarella li ha elencati nel discorso di dieci giorni fa quando ha messo in campo la carta dell’ex presidente della Bce ponendo una serie di paletti non al premier incaricato, ma alle forze politiche. Nei giorni successivi più di un partito ha provato a forzare quei paletti cercando di porre veti nel tentativo di recuperare quella centralità avuta in analoghe occasioni, seppur non prevista nella Costituzione.

Per una decina di giorni Draghi ha lavorato in silenzio, senza social e annunci, ma in stretto rapporto con il Capo dello Stato che è riuscito a mantenere una continuità in due ministeri chiave, come Difesa e Interni, che con Lamorgese e Guerini sono di fatto in quota-Mattarella. Il disorientamento dei partiti, che ieri sino all’annuncio della salita di Draghi al Quirinale brancolavano nel buio sulla lista dei ministri, cambia la consueta liturgia e ricentra i poteri dei due presidenti ai quali la Costituzione affida il compito di proporre (Draghi) e di nominare (Mattarella). Con l’ampio esercizio dei poteri costituzionali nell’ultimo anno di mandato, e prima dell’inizio del semestre bianco che ne limita alcuni e decisivi, Mattarella ha messo in sicurezza il Paese contribuendo a comporre una squadra al cui interno ci sono risorse potenzialmente spendibili anche per il dopo Draghi.

Dalla lettura dei nomi emerge una certa continuità con il precedente esecutivo che si allarga - anche nelle poltrone - con l’innesto di Lega e FI. Un esecutivo molto politico rispetto alle attese che però prova a forzare l’evoluzione di alcune forze politiche. Con la scelta dei tre ministri dem, Orlando, Franceschini e Guerini, Draghi salva anche Zingaretti e si assicura che nel Pd non inizi a spirare subito quella pericolosa aria di congresso che non aiuta chi sta a Palazzo Chigi. I 5S confermano Di Maio agli Esteri, incassano altri tre ministri, sottoscrivono la scelta di Cingolani alla transizione green, ma accettano non solo il ritorno in grande di Vittorio Colao, ma anche di Roberto Garofoli come sottosegretario a Palazzo Chigi anche se il magistrato fu uno dei bersagli preferiti dai grillini nei governi Renzi e Gentiloni. Con la scelta di quattro ministri-tecnici (Franco al Mef, Colao al Digitale, Cingolani al Green e Giovannini alle Infrastrutture) e la delega agli Affari Europei che rimane a palazzo Chigi, Draghi ha di fatto il controllo del Recovery Plan anche se dovesse cedere ad un sottosegretario la delega europea.

Tra le regioni è il Veneto a farla da padrone con quattro ministri, ma soprattutto è un segnale il cambio agli Affari regionali dove esce il pugliese Boccia e arriva la lombarda Gelmini alla quale toccherà ora trovare - su chiusure e zone rosse - le mediazioni anche con gli scalpitanti governatori del Nord, tutti di centrodestra. Così come va ad una donna meridionale, Mara Carfagna, il ministero del Sud. La depoliticizzazione della Giustizia, con l’annunciatissimo arrivo di Marta Cartabia, segue quella già avvenuta al Viminale con Luciana Lamorgese ma rappresenta un tassello importante in vista della riforma della giustizia civile tanto attesa dall’Europa. Infine c’è il ritorno di Brunetta, il veneto più antisovranista di FI, che invocava l’arrivo di Draghi già da un paio d’anni. Renzi, principale artefice della svolta politica, dimezza i ministri di Iv, ma potrebbe recuperare con vice e sottosegretari.
 

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