«Basta, basta». Mario Draghi ha appena finito di leggere la sua lettera al consiglio dei ministri. Il tono è stato quello di sempre. Asciutto. Definitivo. I ministri applaudono. Tutti. Compresi quelli dei cinquestelle. Fa per andarsene. Andrea Orlando tenta l’estrema mediazione: «Ripensaci, la questione del termovalorizzatore è troppo piccola per staccare la spina» riportano diversi presenti. Roberto Cingolani non ce la fa, scatta e alza i toni: «Dite queste cose perché siete politici! Io ho un lavoro a cui tornare. Questa situazione è colpa vostra e ora gli chiedete di ripensarci». Draghi è ancora lì. Fissa un istante i presenti. «Basta» dice. Prova a non perdere la calma. E se ne va. Da Chigi al Quirinale (per la seconda volta). Fermi tutti, io scendo dall’otto volante. Eppure, per qualcuno, non è ancora detta l’ultima parola.
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LE 5 GIORNATE
Il testo della lettera viene fatto filtrare dalla comunicazione. «La maggioranza di unità nazionale che ha sostenuto questo governo dalla sua creazione non c’è più».
I partiti allora si fanno sotto e, con in testa proprio il Pd, si dicono pronti a tutto per un nuovo rilancio. Il tempo per mettere d’accordo l’intera maggioranza attuale non manca. Anzi, i giorni di pausa potrebbero giocare a favore dell’estremo tentativo. Solo quando stamattina le borse riapriranno si avrà vera contezza di quanto Draghi sia stato uno scudo per il Paese in questi mesi. Lo spread schizzerà in alto. E in più ci sarà da stilare una lista di cosa resta in sospeso. Non solo i 55 obiettivi del Pnrr da centrare entro la fine dell’anno o tutto il lavorío già realizzato sulla legge finanziaria, ma anche le riforme. Se è vero che il decreto Aiuti è stato comunque licenziato ieri, senza il premier si impantano i decreti attuativi rimasti in sospeso. In un colpo solo saltano ad esempio Fisco e Concorrenza. Vanno in fumo mesi di trattative. La speranza di Enrico Letta, ma anche di Matteo Renzi, Carlo Calenda e Luigi Di Maio è che l’enormità della reazione dei mercati a questo disastro possa finire con il convincere il premier. Ma serve una maggioranza identica e «granitica». Il «bis» per Draghi e per Mattarella non è un’opzione. La sola potrebbe essere confermare la stessa identica compagine di governo. La Lega però già frena. E anche Forza Italia è rigida. «È finita» dice quasi sconsolato uno dei ministri azzurri.
IL TIMING
Anche chi ha passato questi 17 mesi accanto a lui è poco ottimista: «I giorni che lo separano da mercoledì non servono a convincersi che c’è una soluzione alternativa» il ragionamento. Il timing è tecnico. Lunedì e martedì (ma il viaggio potrebbe essere “tagliato” di 24 ore) è previsto ad Algeri un vertice intergovernativo a cui non può presentarsi da dimissionario. Ci sono dei contratti importanti da firmare. Al rientro poi, mercoledì, Draghi si presenterà alle Camere solo per una «comunicazione formale». Sarebbe stato lui a chiedere a Mattarella di farla. Il premier ci tiene a chiarire ai parlamentari e soprattutto al Paese le motivazioni che lo hanno portato alla sua scelta. «E non avrebbe potuto farlo da dimissionario» spiegano fonti informate vicine all’esecutivo. Per questi due motivi Mattarella avrebbe rigettato le sue richieste. Lo slittamento però, si vocifera, è funzionale anche a chi lavora ad un ripensamento. Ma servirebbe «un miracolo dei partiti» come lo chiamano tra i corridoi di palazzo Chigi.
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