Draghi bis o elezioni in autunno: che succede se M5S apre la crisi di governo?

Archiviato il passaggio del decreto Aiuti alla Camera, è sul Senato che da oggi alla fine della prossima settimana si concentreranno le attenzioni

Draghi bis o elezioni in autunno: che succede se M5S apre la crisi di governo?
Draghi bis o elezioni in autunno: che succede se M5S apre la crisi di governo?
di Andrea Bulleri
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Venerdì 8 Luglio 2022, 12:54 - Ultimo aggiornamento: 9 Luglio, 00:11

La domanda corre da giorni da un conciliabolo all'altro, in Transatlantico. E suona più o meno sempre così: «Ma se il Movimento 5 stelle non vota la fiducia al governo, che succede?». Perché archiviato il passaggio del decreto Aiuti alla Camera (con 410 sì e 28 assenze tra i banchi dei grillini), è sul Senato che da oggi alla fine della prossima settimana si concentreranno le attenzioni. Il provvedimento (che stanzia circa 20 miliardi di fondi contro la crisi) dev'essere licenziato da Palazzo Madama entro il 15 luglio. Pena: la perdita di una fondamentale boccata d'ossigeno per l'economia. 

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M5S verso lo strappo?

Un «ricatto», per i Cinquestelle, che non hanno ancora sciolto la riserva su come si esprimeranno (visto che al Senato, il voto è unico sia sulla fiducia che sul decreto). «Vedremo nei prossimi giorni», la risposta sibillina del presidente M5S Giuseppe Conte.

In molti, tra i grillini, spingono per lo strappo: la maggioranza degli eletti, assicura qualcuno. Ed ecco allora la domanda di tanti parlamentari preoccupati dalle loro sorti. «Se il Movimento esce dal governo, che si fa?». 

In pochi, nei partiti, si lanciano in previsioni. Anche perché «tutto dipenderebbe come sempre dalle decisioni del presidente della Repubblica: è a lui che la Costituzione affida il compito di sbrogliare la matassa della crisi», è la premessa. Ma si può comunque provare ad azzardare qualche scenario. Sono i calcoli che in queste ore si fanno a destra come a sinistra.

 

Innanzitutto, alcuni paletti: alla Camera M5S conta 105 eletti, al Senato 62. Dunque, ragionano gli strateghi delle coalizioni, «se i grillini si sfilassero il governo avrebbe ancora la maggioranza. Risicata, sì, ma pur sempre una maggioranza». E in molti sono pronti a scommettere che qualora i pentastellati arrivassero davvero alle estreme conclusioni, subirebbero con ogni probabilità una nuova spaccatura, con una parte dei gruppi pronta a transitare nelle file di Luigi Di Maio e ad assicurare comunque il sostegno all'esecutivo. 

Dunque, in questo scenario, Mario Draghi potrebbe andare avanti. Ma il premier nei giorni scorsi ha detto chiaramente che per lui «il governo non si fa senza M5S». Lasciando intendere che quella attuale è l'unica maggioranza con cui l'ex capo della Bce è disposto a continuare il suo lavoro a Palazzo Chigi. Che sia stato solo un modo per rassicurare Conte? Nei partiti si scommette che sia così. «Ce lo vedete Draghi che si dimette se Mattarella gli chiede di restare, mettendo a rischio la stabilità del Paese in un momento così delicato?», ragionano deputati e senatori di tutti gli schieramenti. 

Gli scenari

Ecco allora che si apre un'altra prospettiva: quella del Draghi bis. Magari con un cambio della squadra di governo,  per sostituire i tre ministri 5S  in uscita. Ieri per la prima volta Enrico Letta è sembrato aprire a questo scenario, che finora aveva sempre negato. «Draghi bis se i Cinquestelle usciranno dal governo? Ci penseremo», le parole del segretario dem. 

E se invece il premier si dimettesse davvero, oppure non avesse più la maggioranza? In quel caso, pronosticano ancora gli osservatori più scrupolosi in Transatlantico, le urne potrebbero avvicinarsi. In autunno? Difficile, visto che entro il 31 dicembre c'è da approvare la legge di bilancio, e sarebbe troppo rischioso paralizzare tutto con le elezioni. Più probabile, suggerisce qualcuno, un voto a febbraio, come nel 2013. Oppure a marzo, come nel 2018. 

E il premier, che farebbe in quel caso? Potrebbe restare in carica per gli affari correnti. Oppure, Sergio Mattarella potrebbe decidere affidare l'incarico a un'altra personalità (si immagina un'altra figura istituzionale, di "alto profilo") per un esecutivo "elettorale", con il mandato specifico di concludere la sessione di bilancio e portare il Paese alle urne. 

In ogni caso, visti i tempi tecnici tra scioglimento delle camere, campagna elettorale e fissazione della data delle elezioni, anche in caso di crisi imminente nulla, con ogni probabilità, potrebbe muoversi prima di fine settembre. Quando la pensione dei parlamentari, fanno notare i maligni, sarà già stata maturata. 

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