Di Maio aspetta i dem: garanzie sul Reddito. Ma Dibba si smarca

Di Maio aspetta i dem: garanzie sul Reddito. Ma Dibba si smarca
di Simone Canettieri
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Lunedì 12 Agosto 2019, 09:09 - Ultimo aggiornamento: 13:20


ROMA «Se reggerà l'accordo si vedrà martedì alla Camera in conferenza dei capigruppo: se il Pd starà con noi per calendarizzare il taglio dei parlamentari andremo avanti, altrimenti è finita». Luigi Di Maio si è concesso un week-end di relax sull'isola di Carloforte, in Sardegna, con la fidanzata Virginia Saba. Tra una passeggiata e un giro in barca il pensiero del leader del M5S non si muove: in caso di ritorno alle urne, comunque vada per lui inizierà una fase piena di incognite. E così ieri ha passato la giornata «in ascolto». Analizzando per telefono la situazione con i fedelissimi (i ministri Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede, il sottosegretario Vincenzo Spadafora, centrale in queste ore così concitate) e rispondendo ai messaggi delle varie anime del Movimento. Di Maio non si fida di Matteo Renzi e di quello che definisce un «abbraccio mortale» allo stesso tempo sa che il Pd è spaccato e dunque rimane un interlocutore poco affidabile.

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I COLLOQUI
Proprio per questo gli alti dirigenti pentastellati che sondano il vicepremier raccontano come «la strada sia comunque stretta». Perché l'unica soluzione al momento - tutta da costruire e solo con l'avallo del presidente della Repubblica - potrebbe essere quella di un governo di legislatura fino al 2023. «Che sarebbe politico e dunque noi non potremmo mai reggerlo», ha spiegato Di Maio nel corso dei diversi colloqui domenicali. Le diplomazie M5S e quelle grilline si parlano da giorni. Ma non risultano telefonate con Matteo Renzi né con Nicola Zingaretti.
In queste ore dense di dubbi, sul tavolo ci finisce il Reddito di cittadinanza che potrebbe essere la condizione da mettere sul piatto in caso di accordo. Accordo che al momento è in aria e dunque non c'è. Anche perché Di Maio oggi è atteso da un passaggio non indifferente: l'assemblea congiunta dei parlamentari grillini. Un appuntamento molto delicato a cui i vertici hanno già iniziato a lavorare da ieri. Primo obiettivo: «Evitare lo sfogatoio». Secondo: «Fare in modo che non si trasformi in un attacco a Luigi».
In questa fase c'è compattezza, almeno così trapela dal Movimento, nella guerra a Salvini. «Il traditore», come lo chiama Stefano Buffagni, sottosegretario molto ascoltato dal Capo politico. Nicola Morra, presidente della Commissione antimafia, è in silenzio. Paola Taverna, vicepresidente del Senato, tira fuori la vicenda di Bibbiano che ora finirà nel dimenticatoio «sempre per colpa della Lega Nord».

I DUBBI
Il problema sono le prossime mosse: Di Maio, sulla spinta del taglio dei parlamentari, questa mattina chiederà una sorta di mandato all'assemblea per trattare con il Pd. Per sondare cioè le reali intenzioni dei dem sul voto di una riforma che poi potrebbe aprire ben altri scenari. In questo momento c'è l'asse Di Battista-Paragone che è contrario a qualsiasi tipo di esperienza che vada, qualora ci fosse un'intesa, oltre il «taglio delle poltrone». Per il resto, nei momenti di grande pessimismo di queste ore, circola la consapevolezza che in caso di ritorno alle urne e anche in caso di deroga molti big eletti al Nord nel 2018 questa volta sarebbe comunque a fortissimo rischio. «Veleggiamo tra il 10 e 15% con abissi spaventosi al Nord, specie in Veneto-Lombardia e Piemonte con tutti gli uninominali già persi in partenza», sono le riflessioni più condivise. Ecco perché Di Maio - che si appella anche lui al presidente della Repubblica - dice che «una crisi di governo ora è assurda, ma soprattutto è pericolosa».
L'unica speranza è appesa al sì del Pd alla calendarizzazione dell'ultima lettura della riforma sul taglio dei parlamentari. «Bastano due ore. L'unica apertura che ci interessa è questa, la chiediamo a tutte le forze politiche».

 

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