Craxi, «Quei rapporti tra Usa e pm»: le ombre sulla caduta di Bettino

Craxi, «Quei rapporti tra Usa e pm»: le ombre sulla caduta di Bettino
di Mario Ajello
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Domenica 12 Gennaio 2020, 09:28 - Ultimo aggiornamento: 09:32

Ci furono o non ci furono le influenze degli Stati Uniti sui giudici di Mani Pulite e sull'inchiesta che portò alla liquidazione di Craxi? Molti socialisti hanno sempre pensato e detto di sì. Prendendosi spesso l'etichetta di cospirazionisti. Eppure, leggendo le carte della Cia e mettendo insieme con la tecnica dello storico sperimentato i vari documenti e i tasselli riguardanti l'epilogo di Bettino, Marcello Sorgi che non è certo un dietrologo offre nuovi spunti di ragionamento e particolari trascurati o sconosciuti su questa vicenda. «Che qualcosa ci sia stato, e il lavoro dei pm di Mani Pulite abbia potuto essere monitorato dall'occhio attento degli osservatori Usa, questo è sicuro»: così scrive Sorgi, nel suo bel libro che tra tanti in uscita per il ventennale della morte del leader socialista si distingue per acume e velocità. S'intitola «Presunto colpevole. Gli ultimi giorni di Craxi» (per Einaudi).

Favino è Craxi, c'è il dramma del leader ma non la parabola del Paese
 



E' intrigante la riflessione, condotta con lo sguardo del cronista e senza svolazzi politologici, sui destini paralleli di Craxi e Moro, sulle due trattative fallite per liberarli. Gennaro Acquaviva che sorprende Craxi in lacrime - mentre sta leggendo la lettera dalla «prigione del popolo» in cui Moro gli chiede di attivarsi per la liberazione - è una scena forte del libro. Così come lo sono quelle contenute nel capitolo «La Cia in casa». Leggendo queste pagine, non si riesce a credere che Tangentopoli possa essere stata soltanto il frutto di un'inchiesta giudiziaria, per quanto molto potente. Senza il concorso di fattori internazionali, non si azzera una classe dirigente, non si destabilizza il Paese. Ecco allora, il racconto degli intrecci tra i magistrati della Procura di Milano e il consolato americano a Milano guidato da Peter Semler. O quanto aveva scritto Daniel Serwer, incaricato d'affari presso l'ambasciata americana a Roma, in un dispaccio inviato a Washington nel 93, sulla base di informazioni ricevute da parte di magistrati di Milano: «Si dice che un protagonista dell'inchiesta potrebbe essere un pupazzo manovrato dagli Usa». Probabilmente il riferimento è a Di Pietro. E ancora Serwer, in un'intervista molto successiva: «I politici che cadevano, Andreotti, Craxi, Martelli, erano nostri amici, ma non facemmo nulla per proteggerli. L'impressione generale è che fosse venuta l'ora di ripulire le cose». Di Più: «Se Di Pietro ci avesse chiesto aiuto glielo avremmo dato, nell'ambito di ciò che consentivano le nostre leggi». I rapporti tra Di Pietro e il console Semler erano stati fitti sia prima che nella fase calda dell'inchiesta. Alla fine del 91, il pm aveva anticipato al console l'arresto di Mario Chiesa e praticamente gli aveva predetto tutto il cataclisma che stava per accadere. «Mi disse - ha raccontato l'amico americano - che le indagini avrebbero raggiunto la Dc e Bettino Craxi». Il plot che Sorgi, senza arrivare a giudizi sommari, riesce a costruire è fatto di visite e incontri tra Di Pietro e Semler, si avvale delle testimonianze cruciali dell'ex ambasciatore Reginald Bartholomew e contiene le azioni dell'agente segreto Stolz e di altri specialisti della Cia, che operano in Italia con particolare attitudine nel campo del «regime change».
 
 


LA COMPLESSITÀ
E la lista degli indizi e dei personaggi, su cui Sorgi lavora non per gridare al complotto! ma per sviscerare la complessità della storia, è piuttosto lunga e articolata. Si accenna per esempio a un particolare significativo, che è quello del viaggio - dopo la buriana Mani Pulite - che proprio il console Semler, insieme a Michael Ledeen, ufficiale di collegamento tra i servizi americani e quelli italiani, organizzerà per Di Pietro negli Usa.
Alla base di tutto, c'è che da Craxi, quando diventa il personaggio di spicco della democrazia italiana, gli americani - anche prima di Sigonella - si aspettavano di più. O meglio, volevano una minore pervicacia, da parte sua, nel rifiutare quella subalternità automatica al gigante d'Oltreoceano di cui Washington aveva bisogno. Su questo punto Sorgi è molto netto ed esaustivo. Gli strascichi insanabili della vicenda di Sigonella fanno naturalmente parte di questa storia. Ed ecco la testimonianza di De Michelis durante quel braccio di ferro Italia-Usa. L'allora ministro sostiene di aver sentito Craxi gridare: «Se pensano di sfidarmi, gli spezzerò le ossa. Perché l'Italia dev'essere autonoma». E lì, come dice qualche vecchio socialista in slang, cogliendo il punto: «Si fottette!».
Gli americani insomma avevano preso a non fidarsi di lui. E abbandonato da tutti, anche gli Usa a un certo punto lo scaricarono dopo che tanto gli era piaciuto (come una sorta di cowboy grande e grosso, un decisionista, un anti-comunista). Di sicuro la pistola fumante dell'eliminazione di Bettino nelle mani americane non è stata trovata, ma gli indizi che portano a credere che potesse esserci erano e restano tanti. E Sorgi ci gioca, senza nulla togliere alla tragedia.

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