Covid, Sabino Cassese: «Anziché decidere il governo negozia, ma alla Sanità serve coordinamento»

Covid, Sabino Cassese: «Anziché decidere il governo negozia, ma alla Sanità serve coordinamento»
di Mario Ajello
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Giovedì 22 Ottobre 2020, 07:29 - Ultimo aggiornamento: 11:03

Professor Cassese, non crede che ci sia un paradosso? Quando il virus era solo o soprattutto al Nord il governo chiuse tutto, ora che è diffuso ovunque le chiusure vengono fatte fare ai governatori e sono a macchia di leopardo.


«C’è una palese contraddizione, forse spiegabile con il fatto che ora si sono misurate le conseguenze economiche e sociali della chiusura generale. Va anche considerato quello che può definirsi il costo (e il tempo) dell’apprendimento. Indicate queste possibili attenuanti, va osservato che vi è stata in generale una assenza di programmazione e di coordinamento. Ripeto quanto osservato più volte, che la profilassi internazionale doveva essere gestita solo dallo Stato. Si è seguita la strada degli adattamenti di volta in volta. La conseguenza è sotto gli occhi di tutti: presidenti regionali che rivendicano poteri, salvo rinviare al governo centrale quando si tratta di assumersi responsabilità (specialmente quelle penali), comuni che rifiutano compiti, continui “tira e molla”. C’erano solo due soluzioni: tutto al governo centrale; oppure una sede unica comune di decisione, comune a regioni e centro. Si è preferito non scegliere e muoversi negoziando caso per caso».


Non si ingenera confusione, se prevale il fai da te regionale?
«Questo mi pare evidente, e sorgeranno subito problemi con gli spostamenti interregionali: porremo frontiere? Ergeremo muri?».


Si ha l’impressione che, per non prendere decisioni che possono essere impopolari come quella del lockdown generale, e non parcellizzato, il governo deleghi agli enti locali così non scende nel gradimento nei sondaggi. Ha a che lei questa impressione?
«Purtroppo la gestione tutta politicizzata - anzi in mano ai partiti - della reazione alla pandemia ha aperto la strada al calcolo elettorale nella gestione.

Questa consente una pubblicità quotidiana. Non si è calcolato, però, il costo di questa sovraesposizione mediatica, che finirà per ritorcersi su politici e amministratori, che finiranno per diventare i capri espiatori di ogni errore».


Era tutto previsto in questa seconda ondata. Perché ci siamo fatti cogliere così impreparati?
«Questo è l’aspetto più grave Tra giugno e ottobre vi era tempo per prepararsi. La prima ondata ci aveva colto di sorpresa, ora giustificazioni non ce ne sono. Il paradosso ulteriore è che tutto questo periodo è coperto dalla dichiarazione di emergenza, motivata proprio con la necessità di avere mano libera. Ma questa non è stata usata o è stata adoperata male, a giudicare dai risultati».


La Campania già ha vietato gli spostamenti tra città e città della regione. Crede che occorra mettere un limite agli spostamenti anche altrove e tra regione e regione?
«Non so prevedere. Ma, avendo lasciato le decisioni al “fai da te” locale, i problemi sorgeranno».


Sembra esserci più indecisionismo che decisioni forti. E L’indecisione non crea sfiducia?
«Sulla decisione prevale la negoziazione. Sull’amministrazione prevale la politica. Nella politica dominano i rapporti tesi tra maggioranza e opposizione. Insomma, il contrario di una gestione razionale del periodo critico che stiamo attraversando e che non finirà presto, perché per finire ci vogliono sia cure specifiche, sia vaccini». 


Da un’ondata all’altra, una costante: il caos tra livelli decisionali. Perché?
«Il sistema sanitario sarebbe, per legge, nazionale. Di fatto, è una rissosa confederazione di venti sistemi regionali. Le regioni non cederanno mai la materia, perché rappresenta due terzi della loro finanza e molto di più del loro potere di lottizzazione. Le conseguenze di lungo periodo si faranno sentire. Anche ora si vedono, con la debolezza della sanità territoriale, di più difficile lottizzazione. Comunque, mi pare che siano assenti previsione, programmazione, capacità di preparazione in vista delle situazioni eccezionali o di emergenza. Ne soffrono coloro che sono in prima linea. I francesi direbbero che manca l’”amministrazione di stato maggiore”».
 

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