Coronavirus, mea culpa del Pd sulla riforma del 2001 che assegnò la Sanità alle Regioni

Coronavirus, mea culpa del Pd sulla riforma del 2001 che assegnò la Sanità alle Regioni
Coronavirus, mea culpa del Pd sulla riforma del 2001 che assegnò la Sanità alle Regioni
di Mario Ajello
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Venerdì 3 Aprile 2020, 13:00 - Ultimo aggiornamento: 19:32

Contrordine compagni! “Sulla riforma federalista del 2001, dobbiamo chiedere scusa”. Ecco il mea culpa del Pd al tempo del coronavirus. Per quella riforma  del Titolo V della Costituzione che svuotò i poteri dello Stato delegando tutto  e soprattutto la sanità alle regioni. Con i risultati - incapacità territoriali specie in Lombardia, conflitti di competenze, accuse del governatore l bardo Fontana a Roma ma ancora di più critiche da più parti alla gestione lombarda - che si stanno vedendo in questi giorni. A chiedere scusa apertamente è Giannì Cuperlo che a quei tempi, nel 2001, era uno dei più importanti esponenti del centrosinistra e tuttora stimatissimo dirigente Pd. Ma perfino il vicesegretario Andrea Orlando ammette: “Serve che la sanità torni ad essere una competenza nazionale e non regionale, dobbiamo ripensare il sistema”. E comunque riecco Cuperlo: “Nel 2001 si riformò il Titolo V pensando di togliere voti alla Lega. Fu un errore e gli italiani lo hanno pagato caro”. 

Però la Lega non schioda: “Non si torna indietro da quella riforma”, grida Matteo Salvini. E ancora: “Non consentiremo mai che lo Stato si riprenda  la sanità”. Il governatore leghista Fontana, anzi, dallo Stato vuole ancora di più: “Roma ci sta dando solo le briciole”. Ma non è solo Roma - intesa come Nazareno - il centro del pentimento sulla riforma  turbo-regionalista.  Molto critici anche i sindaci Pd della Lombardia che stanno muovendo alla gestione territoriale della sanità attacchi molto forti. E si coniuga questo mea culpa del Pd ai ripensamenti di M5S. Furono i  grillini in prima fila nella battaglia contro la riforma costituzionale di Renzi che voleva tra l’altro rivedere il Titolo V della Carta. Ma ora il contrordine compagni lo dicono anche loro.

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