Coronavirus, Orlando: «Chi ha sbagliato sia cauto. Più ruolo allo Stato»

Coronavirus, Orlando: «Chi ha sbagliato sia cauto. Più ruolo allo Stato»
Coronavirus, Orlando: «Chi ha sbagliato sia cauto. Più ruolo allo Stato»
di Mario Ajello
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Giovedì 30 Aprile 2020, 08:59 - Ultimo aggiornamento: 19:29

Lei, onorevole Orlando, da vicesegretario del Pd come si sente a sostenere un governo - parola di Renzi - che va contro la Costituzione?
«La domanda andrebbe rivolta anzitutto a Renzi. Anche lui è nelle mie stesse condizioni, visto che sostiene questo governo. Comunque tenderei ad escludere che si tratti di esecutivo anti-costituzionale. E mi sembra che l'utilizzo dei Dpcm fin qui sia stato largamente giustificato dalla gravità della situazione».

Ma adesso la fase è cambiata. Non crede che l'uso dei Dpcm sia sempre meno giustificato?
«Deve naturalmente essere uno strumento temporaneo. Ci saranno ancora delle misure che necessitano di un percorso straordinario. Ma quanto più la situazione va verso la normalità, tanto più dobbiamo riprendere la normale fisiologia istituzionale».

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Sta criticando Conte anche lei?
«No, sto criticando il Coronavirus. Se i dati del morbo diventeranno più gestibili, servirà uno sforzo per trattare in maniera diversa la situazione. Conte è il primo ad essere consapevole di questo».

Ma il premier non le sembra troppo cedevole nei confronti dei governatori regionali che fanno di testa loro?
«Non mi pare. Ha scelto una linea che evitasse la conflittualità. E alla fine si sono mantenute ferme le linee decise a livello centrale. Tant'è vero che sono stati consentiti alle Regioni interventi più restrittivi e non meno restrittivi».

Però, almeno, andavano messi nel Dpcm paletti espliciti per fermare il fai da te dei governatori, vincolandoli in modo chiaro. Perché non è stato fatto?
«Non si poteva prescindere dalle Regioni, cioè da un ambito territoriale che ha assunto progressivamente sempre più potere. Rimettere il dentifricio nel tubetto, in una fase di emergenza, sarebbe stato rischioso. Poteva provocare una guerra tra Stato e Regioni che non avrebbe avuto né vincitori né vinti».

Ma non le sembra che impazzi un regionalismo che somiglia troppo all'autonomismo?
«Una delle questioni del dopo pandemia sarà rivedere il rapporto tra Stato e Regioni. A cominciare da un bene che non è divisibile, cioè quello della salute. Che è stata aggredita in questi mesi in modo simmetrico dal virus, mentre le risposte sono state asimmetriche. C'è da interrogarci se non vada ripensato il rapporto tra le varie competenze».

Si può fare cancellando la riforma del Titolo V della Costituzione, varata dal centrosinistra nel 2001 per inseguire la Lega.
«Un bilancio su come ha funzionato il nuovo Titolo V va fatto. In questi anni, lo Stato spesso si è limitato a prendere atto di scelte nate nelle Regioni, senza esercitate le sue facoltà che esistono anche a normativa vigente. Lo Stato centrale si è ritirato. E adesso deve recuperare pienamente il suo ruolo d'indirizzo».

Non lo si può fare già da subito, fermando le Regioni che stanno correndo troppo nelle riaperture?
«Oggi assistiamo a un paradosso. Le Regioni in cui il contagio ancora cresce sono quelle che più vogliono allentare le misure di controllo».

E allora perché il governo non impugna le ordinanze da fuga in avanti?
«Mi auguro che si tratti più di dichiarazioni che di fatti, da parte dei presidenti regionali. E comunque, le cose dovrebbero andare in maniera opposta a come sembrano andare. Le Regioni a più alto contagio dovrebbero essere quelle che più dovrebbero attenersi alle indicazioni delle autorità sanitarie nazionali. Quanto alle Regioni dove il contagio è quasi azzerato, si può pensare di anticipare alcune misure di apertura attualmente previste per giugno».

La ripresa rischia di essere lenta. Il Pd quanto è consapevole del pericolo?
«Abbiamo molte idee per evitarlo. Gliene dico una. Stiamo per proporre che tutti gli interventi finalizzati al distanziamento sociale e alla misure di contrasto al Covid siano, per le piccole attività, liberalizzate. Ossia si fanno i lavori e si comunica che questi lavori sono stati fatti. Punto».

Proprio nella sua regione, la Liguria, Pd e Forza Italia si annusano. Alla Camera votano insieme sullo scostamento del bilancio. Gli azzurri stanno per entrare nella maggioranza di governo?
«C'è un atteggiamento positivo di Forza Italia. Ma non ne trarrei conseguenze automatiche. Come si diceva una volta, vedo una strategia dell'attenzione. E mi conforta. Perché non nasce sulla base di una operazione trasformistica ma su una comune lettura del rapporto con l'Europa».

Ma allora perché non fare un governo Ursula in Italia?
«Non mi pare siano maturate le condizioni. Forza Italia ha ancora un rapporto organico con Lega e Fdi. Si trova in mezzo al guado. Ma la sua posizione ci può rafforzare per alcune scelte sul fronte europeo».

E Renzi, quando rompe con il governo: già quest'estate?
«Non riesco ad applicarmi a questo tipo di argomenti. Perché ritengo che ci sia un gigantesco tema non di politica politicienne ma di politiche per uscire dall'emergenza e far ripartire il Paese. E comunque, temo che quest'estate saremo ancora con il virus protagonista delle cronache politiche. E resterà poco spazio per le manovre di Palazzo».
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