Coronavirus, Guerini: «Pronti a dare più soldati, nessuna militarizzazione»

Coronavirus, Gualtieri: «Pronti a dare più soldati nessuna militarizzazione»
Coronavirus, Gualtieri: «Pronti a dare più soldati nessuna militarizzazione»
di Alberto Gentili
5 Minuti di Lettura
Sabato 21 Marzo 2020, 00:40 - Ultimo aggiornamento: 14:36

Ministro Guerini, l'Italia ha più morti della Cina e l'esercito è schierato in strada per i controlli. Saremo costretti alla militarizzazione stile Wuhan per contenere l'epidemia? 
«Nessuna militarizzazione. Lo sforzo che come Difesa abbiamo attuato fin dal primo giorno è parte dell'impegno che tutto il Paese e le sue Istituzioni stanno mettendo in campo. Quando ci viene richiesto, le Forze Armate, in base alle esigenze che ci sottopongono i prefetti per situazioni particolari, vanno a supporto delle forze di polizia per potenziare le attività di sorveglianza dei territori, come disposto dall'ordinanza di non uscire di casa. Che va rispettata. Lo facciamo attraverso l'utilizzo dei militari già impegnati in Strade Sicure, pescando all'interno di un bacino che conta 7mila unità, rimodulando l'operazione. Se il quadro delle esigenze aumenterà le Forze Armate saranno in grado di fare ciò che a loro sarà richiesto con un eventuale aumento di aliquote aggiuntive».

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Che effetto le fanno le città con le ronde e le camionette militari?
«Capisco il tema, ma credo di poter dire che la popolazione apprezza quello che fanno le Forze Armate, ne abbiamo testimonianza ogni giorno, ci scrivono lettere, appendono striscioni nei balconi per ringraziarci, le famiglie ci mandano i disegni dei bambini. C'è una consapevolezza civile molto alta verso quello che fanno le Forze Armate. Ed io sono particolarmente orgoglioso di guidare questa grande comunità, che lavora h24, 7 giorni su 7 fin dall'inizio dell'emergenza».

Cos'altro fa la Difesa contro l'epidemia? 
«L'apporto dal punto di vista sanitario è stato fin qui straordinario: task force medico-infermieristiche negli ospedali maggiormente colpiti e negli ospedali da campo che a tempo record stiamo allestendo a Piacenza, Bergamo, Crema e Cremona. Circa 140 medici e infermieri militari che hanno risposto immediatamente all'appello. Trasporti sanitari aerei in biocontenimento, ambulanze, disponibilità di strutture ospedaliere militari e tende per il triage, e l'impiego di siti militari per la quarantena e la sorveglianza dei pazienti. Laddove si manifesta una necessità la Difesa fa la sua parte. Non appena si è riscontrata la difficoltà di reperire nel mercato gel disinfettante per le mani abbiamo messo in moto il nostro Istituto Chimico Farmaceutico di Firenze. Con il massimo sforzo, in poco più di una settimana hanno incrementato la produzione da 800 a 2.000 litri al giorno per rifornire gli ospedali più in emergenza. Alla Siare di Bologna, unica azienda italiana che produce ventilatori polmonari, abbiamo inviato 25 unità del nostro personale civile per potenziarne le capacità produttive».

La Difesa ha lanciato un bando per assumere 120 medici e 200 infermieri militari. Quante sono al momento le adesioni? 
«Oltre tremila richieste in due giorni dalla pubblicazione del bando. Una risposta che consentirà di scegliere le migliori professionalità. E soprattutto la dimostrazione di quanto gli italiani si mettano a disposizione del proprio Paese in questo momento di grande bisogno».

Anche lei è per il tutto chiuso?
«Abbiamo assunto misure molto dure e ne siamo consapevoli. Limitano la socialità e gli spostamenti delle persone. Ma sono provvedimenti che oggi tutta l'Europa prende ad esempio. Sono ben consapevole del sacrificio che stanno facendo i cittadini, che tuttavia sanno bene che sono misure che il governo ha preso per tutelare la loro salute. Stare a casa è la strada giusta».

Il diritto alla salute prevale sul diritto alla libertà individuale?
«E' un tema che attraversa in questo momento tutte le democrazie liberali. Sono scelte che, giustamente, devono essere condivise coi cittadini. E' un appello alla solidarietà, paradossalmente i provvedimenti che ci costringono a stare lontani ci rendono più uniti. Coniugare misure per la salute ai diritti individuali è stato uno sforzo che ha caratterizzato le decisioni del governo. Con la consapevolezza che si tratta di decisioni che incidono sul diritto alla socialità dei cittadini che, pur avendo carattere eccezionale e temporaneo, sono certamente gravose. Il governo agisce a difesa degli italiani, contro un nemico invisibile come il virus. Abbiamo quotidiana testimonianza che gli italiani lo comprendano appieno». 

In questa situazione drammatica lo scontro politico è ripreso. E' dovuto intervenire il presidente Mattarella per cercare di far collaborare governo e opposizione. Quale può essere la chiave per un vero afflato bipartisan?
«Le parole di Mattarella sono un richiamo alla responsabilità di tutti noi. In qualsiasi ruolo. Questo non significa sopire il dibattito politico, ma governarlo dentro uno sforzo comune che come Paese stiamo facendo. Va affermato sempre più, in questo momento di emergenza, un metodo di lavoro tra governo e opposizione e tra diversi livelli istituzionali per far sì che ci sia un flusso continuo di comunicazione, che consenta a tutti di portare il proprio contributo, con spirito costruttivo. Coinvolgere, informare, ascoltare».

Giudica strumentali le critiche di Salvini, Meloni e Berlusconi al decreto da 25 miliardi?
«Mi attengo a quanto ho già detto. Non ha senso fare polemiche, bisogna lavorare tutti per il Paese. Il decreto Cura Italia, recentemente approvato, ha individuato risposte sostanziali alle difficoltà conseguenti all'emergenza coronavirus di famiglie, lavoratori e settori produttivi. E' un pezzo di un impegno molto più ampio. Come ha già affermato il ministro Gualtieri ci sarà un prossimo decreto con ulteriori misure che rafforzeranno gli interventi per le imprese e che inizieranno a definire i primi provvedimenti per favorire la ripartenza del Paese. Per le dimensioni che ha assunto la crisi, l'Europa deve avere il coraggio di lanciare un piano straordinario che affronti le conseguenze economiche e sociali che l'emergenza sta determinando. Dobbiamo già pensare al tempo della ricostruzione».
 

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