Coronavirus, 50 giorni da incubo: cosa è successo dal 29 gennaio a oggi, vincono gli italiani

Coronavirus, 50 giorni da incubo: cosa è successo dal 29 gennaio a oggi, vincono gli italiani
Coronavirus, 50 giorni da incubo: cosa è successo dal 29 gennaio a oggi, vincono gli italiani
di Mario Ajello
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Lunedì 16 Marzo 2020, 09:51 - Ultimo aggiornamento: 11:21

Quasi 50 giorni di emergenza Coronavirus, scanditi anche dai decreti del presidente del consiglio e oggi ne è arriva  un altro,  quello economico. Ma tutto è cominciato il 29 gennaio.

Una coppia di coniugi cinesi di Wuhan in vacanza a Roma viene prelevata dall’Hotel Palatino di Via Cavour e portata all’ospedale Spallanzani. Verrà diagnosticata ad entrambi una polmonite da Sars-CoV-2.

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Poi il 21 febbraio sarà ricordato il nostro venerdì nero. A 54 minuti dalla mezzanotte l’Ansa batte la prima agenzia: “Coronavirus, un contagiato in Lombardia”. È il “paziente uno”, un 38enne ricoverato per polmonite all’ospedale di Codogno, nel basso Lodigiano. Nel corso della giornata emergono due casi a Vo’ Euganeo, nel Padovano: alle 23.40 uno dei due, un 77enne di Monselice, muore. È il primo morto in Italia. Salvini intima al governo di chiudere tutto: “Chiudere! Blindare! Proteggere! Controllare! Bloccare!”. Da allora più volte il capo della Lega oscillerà: chiudere tutto, anzi no, riaprire ma meglio chiudere davvero....

Il balletto del chiudere sì o no, da fine febbraio ha riguardato un po’ tutti. Chiesa compresa: luoghi di preghiera sbarrati, anzi come ha detto il Papa correggendo la Cei  vanno riaperti e così è stato. 

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Il 22 febbraio Conte firma il primo decreto: le aree dei due focolai del Lodigiano e di Vo’ Euganeo diventano “zone rosse”: non si potrà uscire né entrare. Nel corso della giornata i contagi arrivano a 76. Il 23 febbraio. Vengono chiuse le scuole in sei regioni del Nord. Il 27 febbraio da più parti si grida all’allarmismo ingiustificato.

Il sindaco di Milano Sala chiede al governo di riaprire i musei, riapre i locali dopo le 18 (già chiusi dalla Regione), indossa la t-shirt con lo slogan #milanononsiferma, si fa ritrarre mentre prende lo spritz e condivide un video commissionato da 100 brand della ristorazione che esalta i “ritmi impensabili” della capitale morale.
 



Salvini va da Mattarella a chiedere di “Riaprire tutto e far ripartire l’Italia” e intima al governo: “Riaprire tutto quello che si può riaprire. Riaprire per rilanciare fabbriche, negozi, musei, gallerie, palestre, discoteche, bar, ristoranti, centri commerciali!”. Il segretario del Pd Nicola Zingaretti va sui Navigli per un simbolico aperitivo coi giovani del partito. Nove giorni dopo annuncerà di essere positivo al Coronavirus. Il 28 febbraio. Il governo approva il decreto legge “misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”.

Salvini chiede: “Aprire, aprire, aprire! Si torni a produrre, a comprare, si torni al sorriso”. Confcommercio stila un decalogo: “Sono gli ultimi giorni di saldi: approfittane! Vai dal parrucchiere o dall’estetista! Incontra gli amici al bar per un aperitivo, non sono più chiusi dopo le 18! Esci a cena, i ristoranti sono aperti! Fai una passeggiata e mangia un gelato prima di tornare a casa”. 

Da allora, tra un decreto e l’altro, tra una polemica e mille cambi di posizione e slanci e retromarce smentite e autosmentite della classe politica e di governo, l’escalation del morbo è stata lineare, tutto il resto no. Tranne il comportamento responsabile e composto dei cittadini. Che non vedono l’ora di tornare a 50 giorni fa, quando la vita era ancora normale e nessuno avrebbe immaginato questo incubo.

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