Quanto si divertirebbe Trilussa. Non certo per il coronavirus, che è una tragedia, ma per le pensose pensosità risibili di tanti suoi colleghi scrittori. Che si spremono le meningi cercando di scalare le vette dello sprofondismo filosofico-sociologico, mentre lui avrebbe solo ritirato fuori alcuni suoi versi geniali .
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Versi geniali sulla stretta di mano.
«Quella de dà la mano a chicchessia,/ nun è certo un’usanza troppo bella:/ te pò succede ch’hai da strigne quella/ d’un ladro, d’un ruffiano o d’una spia. / Deppiù la mano, asciutta o sudarella,/ quann’ha toccato quarche porcheria,/ contiè er bacillo d’una malatia,/ che t’entra in bocca e va ne le budella».
Ben detto Trilussa. Questa poesiola andrebbe affissa ai muri, sarebbe da aggiungere in calce alle regole del governo e meriterebbe di diventare il mantra dell’Italia che si difende e che combatte. Ed ecco quando uno scrittore, un intellettuale (oddio, Trilussa avrebbe rifiutato spiritosamente questa etichetta ingombrante e in molti casi boriosa) è davvero popolare. È quando riesce, con la naturalezza autentica che solo il genio può dare, a raccontare i gesti quotidiani e mai come adesso dobbiamo stare attenti a come usarli.
Trilussa aveva capito come comportarsi con il Covid19 molto prima che arrivasse. Tanti altri scrittori cercano di capire, invece, perché è arrivato e proprio non c’azzeccano. Anche Stefano Benni (che non è Belli) è un poeta che vorrebbe essere pop ma invece di parlare della «mano sudarella» s’inerpica o sprofonda sui giornali alla ricerca dietrologica - cioè ideologica - delle ragioni scatenanti del virus. Ecco, lo ha prodotto «il cambiamento climatico» questo contagio, assicura il cantore della mitica Luisona (il super cornettone stagionato che accoglie i clienti nel Bar sport di provincia come una indigeribile statua risorgimentale). Insomma se avessimo ascoltato Greta, non si sarebbe scatenato Convid19. E se non ci fosse il «complotto degli scienziati», che chissà che cosa ci nascondono, oggi saremmo tutti sani o per dirla alla Giorgio Gaber faremmo «finta di essere sani». Arridatece Trilussa, dai!
Trilussa si potrebbe divertire anche con quell’esercito (lo vorrebbe guidare Tomaso, con una esse sola, Montanari) di intellettuali che in questi giorni, mentre tutti lamentano ma civilmente sopportano le privazioni, esultano di fronte a questo esperimento coatto di “decrescita felice” e tifano perché il coronavirus ci renda più poveri e più pauperisti. Trilussa farebbe ciaone (ma è ancora lecito?) a tutti questi. Anzi, visto che lui è spiritoso e loro no, si delizierebbe a salutarli in un altro modo. Previsto a sua volta nella poesia di cui sopra: «Invece a salutà romanamente,/ ce se guadambia un tanto co l’iggiene,/ eppoi nun c’è pericolo de gnente./ Perché la mossa te viè a dì in sostanza: Semo amiconi … se volemo bene …/ ma restamo a ‘na debbita distanza».
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