M5S, la tagliola regionali per Di Maio: sotto il 5% Grillo cambia leader

M5S, la tagliola regionali per Luigi: sotto il 5% Grillo cambia leader
M5S, la tagliola regionali per Luigi: sotto il 5% Grillo cambia leader
di Mario Ajello
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Mercoledì 8 Gennaio 2020, 00:52 - Ultimo aggiornamento: 13:52

Ha ripreso a spazientirsi Beppe Grillo. Non solo con quelli che lo chiamano e gli dicono: «Prenditi di nuovo la baracca sulle spalle, sennò è finita». E lui, burbero e bonario: «Non rompetemi le p...». E’ spazientito di nuovo anche con Di Maio (Beppe che scava la buca sulla sabbia a Capodanno fa pensare al rischio sepoltura per il movimento) che ha sostenuto in tutti i modi, per il quale s’è sobbarcato visite a Roma e altre se ne sobbarcherà ma la situazione, tra chi va via, chi viene cacciato, chi ce l’ha con Luigi e non paga i soldi che deve, chi ce l’ha con Casaleggio e rifiuta l’obolo a Rousseau e sono tutti in rivolta guardando a destra o a sinistra e al Misto soprattutto, non sembra raddrizzarsi affatto. 

C’è chi dice nel movimento che Grillo sarebbe pronto a sostituire Di Maio. Ma il discorso è più complesso. La vera botta per Di Maio come capo politico potrebbero essere le elezioni regionali. C’è una tagliola, e qui Grillo c’entra eccome perché l’ha stabilita anche lui, che riguarda Di Maio e che è riassunta in due cifre. La prima è 5. La seconda è 5. Ovvero: se, come viene dato per probabile tra i parlamentari M5S, in Emilia Romagna e in Calabria il movimento s’accascia intorno al 5 per cento, il leader politico dovrà mollare. Sarà lui stesso - anche se ieri ha smentito di voler dimissionarsi - a rinunciare alla guida dei pentastellati o verrà mandato via da Grillo? Potrebbe essere lui stesso ad anticipare le decisioni degli altri e a farsi di lato dicendo: se avete uno più bravo di me s’accomodi. Ma è convinto, e forse in questo non sbaglia, che gli altri (si fa il nome di Patuanelli, ma Grillo e Casaleggio non vogliono toccare la squadra di governo) non sono migliori di lui. Questa è la sua corazza di latta, e tuttavia il doppio 5 non potrà che essergli fatale. Al suo posto, una leadership collegiale - quella dell’attuale Team del futuro, da Taverna a Corrao, con altri innesti - e comunque dopo la prevista batosta calabro-emiliana sarà complicato per Di Maio proseguire su quella road map che aveva tracciato. Ossia: arrivare agli Stati Generali di marzo, dove concedere briciole di potere e tenersi il suo. 

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del resto, non dipende soltanto dall’urgenza e dalla gravità dei problemi internazionali il fatto che Di Maio si stia concentrando sempre di più sul suo ruolo di ministro degli Esteri. Appare invece come una via di fuga rispetto a un movimento che non controlla più in niente. Non c’era lui ieri - stava in missione a Bruxelles? Sì, ma avrebbe potuto sostare l’appuntamento di partito - nella riunione con i probiviri per le rendicontazioni e la sua presenza, al fianco o al posto dei due capigruppo, avrebbe esacerbato gli animi di tutti quei parlamentari che non vogliono pagare. Un altro problemaccio ce l’ha con la selezione dei facilitatori regionali, già su quelli nazionali sono fioccate polemiche, che è cominciata ieri e già viene contestato il ruolo di Di Maio come decisore finale: «Non a scelte calate dall’alto». Non è mica facile andare avanti con un partito messo così. Il flop alle Regionali farà precipitare tutto, ma sarà anche il momento nel quale - con Di Maio o senza Di Maio - Grillo avvierà come strategia della sopravvivenza l’apertura ad alleanze con il Pd nelle varie regioni dove si voterà nel 2020. Si può fare la coalizione penta-dem su Michele Emiliano, in Puglia. Si punta a farla - ma non sarà affatto facile rimuovere De Luca - in Campania convergendo insieme o sul ministro Costa o sul neo-ministro dell’università, Manfredi. 

Dunque, Di Maio si sente abbastanza sicuro sulla vicenda dei morosi - al massimo verranno cacciati una decina tra Camera e Senato ma «dal Misto resteranno fedeli al governo per non perdere la poltrona» - e però ha l’incubo per ciò che accadrà a partire da febbraio. Ed è troppo debole, anche se si sente insostituibile, per reggere la botta elettorale in arrivo. 

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