Ballottaggi. Letta: «Governo più forte». M5S, voto sul terzo mandato

Partiti concentrati sul 2023. L’indicazione dalle elezioni comunali: vince chi resta unito

Ballottaggi. Letta: «Governo più forte». M5S, voto sul terzo mandato
Ballottaggi. Letta: «Governo più forte». M5S, voto sul terzo mandato
di Francesco Malfetano
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Lunedì 27 Giugno 2022, 07:02 - Ultimo aggiornamento: 23 Febbraio, 14:59

ROMA Ora manca solo la Sicilia in autunno. La corsa elettorale verso il 2023 quindi, può considerarsi già entrata nel vivo. A urne chiuse sono infatti terminati tutti gli slot disponibili per testare le alleanze in giro per la Penisola e prepararsi al dopo Mario Draghi. E una volta palesato il fatto che sia a destra che a sinistra si vince solo uniti (i casi Verona e, in parte, Catanzaro sono emblematici), è pronto a consolidarsi il gioco di posizionamenti che farà ballare l'esecutivo. Anche se Enrico Letta a risultati acquisiti sottolinea come «il risultato di oggi rafforza il governo», la fine dell'egemonia leghista a favore del boom di Giorgia Meloni così come l'ennesimo record negativo toccato dai cinquestelle porteranno con sé degli strascichi, specie in alcuni momenti cruciali.

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La situazione più esplosiva infatti, è proprio quella dei cinquestelle, dove è sul punto di cadere anche la regola aurea del vincolo al secondo mandato. Tant'è che ieri sera Conte - mentre un sondaggio del Sole24ore dà il partito a poco più dell'8% - ha convocato a sorpresa un Consiglio nazionale. Vertice a cui ha preso parte Beppe Grillo (oggi a Roma) che, tra gli aggiornamenti sulla situazione dei territori, avrebbe aperto al mettere ai voti la deroga al tetto dei due mandati. Un'indicazione - smentita in seguito dal partito - secondo molti grillini indispensabile per evitare un'ulteriore emorragia di eletti verso la nuova formazione politica di Luigi Di Maio.
LE INDICAZIONI
Le indicazioni che arrivano dalle urne sono diverse.

In primis il rilancio del centrosinistra rispetto alla stessa tornata elettorale del 2017. «Questo risultato ci rafforza in vista del futuro - spiega infatti Letta - della costruzione di un centrosinistra che sia vincente anche a livello nazionale per le politiche dell'anno prossimo». I dem, che pure si dimostrano capaci di vincere senza i cinquestelle, sembrano anche in grado di gestire le alleanze a geometria variabile con Matteo Renzi e Carlo Calenda. «Il campo largo è stato oggetto di prese in giro e le prese in giro in questo momento si sono rivoltate contro chi le faceva. Questa strategia paga, perché vinciamo e vinciamo bene» aggiunge a caldo. Del resto alla vigilia del primo turno, nei 26 capoluoghi al voto, il centrosinistra governava in 6 città (tra le restanti 3 erano a guida civica). Ora i rapporti di forza sono cambiati. Considerando la «partita fuori casa», aver conquistato 10 città è molto più che una semplice vittoria sul territorio: è la conferma cercata da Letta sul campo largo, con diversi protagonisti minori a fargli da spalla è la sola strada che consentirà al centrosinistra di opporsi all'avanzata meloniana.

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Le incognite però non mancano. C'è ad esempio da capire in che modo i partiti oggi più piccoli proveranno a differenziarsi nei confronti del loro elettorato. Risultati alla mano (specie del primo turno) Calenda sembra averlo capito. Renzi, più spesso schierato con il centrodestra, meno. Indefinibile invece la posizione di Luigi Di Maio che, a scissione preannunciata dopo il Quirinale, ha atteso che il Movimento si schiantasse ancora prima di mettersi in gioco. Le difficoltà maggiori, come chiarito dagli interessati, riguardano la permanenza di Giuseppe Conte nel gruppo. Un vizio di fondo a cui, alla lunga, lo stesso avvocato potrebbe rimediare. Acquisito che dalla prospettiva grillina sobbarcarsi il governismo del centrosinistra è stato un bacio mortale, non è escluso che provi a rilanciare un personalissimo terzo polo populista rompendo dopo una prima fase di assestamento.
IL CENTRODESTRA
Il rilancio del centrosinistra lettiano però («Il centrodestra perde e perde male dovunque» ha attaccato il dem) non sbaraglia in realtà il trio di antagonisti composto da Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Anzi nel sondaggio pubblicato ieri vantano rispettivamente il 25,7%, il 15,2% e il 9,1% dei consensi (e quindi il governo del Paese). Il passo indietro nel pallottoliere locale è più che altro il sintomo di un passaggio di testimone - dalla Lega a Fratelli d'Italia - difficile da digerire. Al punto che il clima che si respira è quello di una tregua armata. A dimostrarlo non solo i video speculari a sostegno dei rispettivi candidati mai condivisi sui social, quanto soprattutto i fatali apparentamenti negati a Verona e Catanzaro. Schermaglie che rischiano di essere solo un antipasto di ciò che va profilandosi anche in Sicilia tra gli sfidanti Nello Musumeci e Giancarlo Micciché. Se Berlusconi per ora si diverte a fare da spettatore beneficiando dell'aura moderata di FI, Salvini è invece consapevole di non poter accettare passi indietro senza rischiare di perdere il suo partito. D'altro canto Giorgia, dopo aver chinato il capo per anni, ora non pare più disposta a rinunciare al ruolo di guida della coalizione. E i numeri le danno ragione. Un po' come i precedenti: gli scranni dell'opposizione infatti non spaventano FdI.
 

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