Sergio Castellitto: «Basta regia, oggi ci vuole il fisico e io non ce l'ho più»

Sergio Castellitto: «Basta regia, oggi ci vuole il fisico e io non ce l'ho più»
Sergio Castellitto: «Basta regia, oggi ci vuole il fisico e io non ce l'ho più»
di Gloria Satta
5 Minuti di Lettura
Lunedì 27 Settembre 2021, 06:30 - Ultimo aggiornamento: 20 Febbraio, 17:01

«Un film soave. Una carezza, un conforto dell'anima di cui abbiamo bisogno dopo i mesi bui della pandemia»: così Sergio Castellitto definisce Il materiale emotivo da lui diretto e interpretato, protagonista femminile Bérenice Bejo, nel cast anche Matilda De Angelis, Sandra Milo e il rapper Clementino. Il film, una favola ambientata in una Parigi sognante e coloratissima ricostruita nel Teatro 5 di Cinecittà, ha aperto il BiF&st di Bari e il 7 ottobre uscirà nelle sale. Forte delle sue nobili origini: Sergio, 68 anni, ha portato sullo schermo Un drago a forma di nuvola, l'ultima sceneggiatura inedita dell'amico Ettore Scola.

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L'ha fatta rielaborare da sua moglie, la scrittrice Margaret Mazzantini, e si è riservato il ruolo del protagonista, un libraio tenero e buffo che adora il suo lavoro e si dedica anima e corpo alla figlia paralitica (De Angelis). L'irruzione di una ragazza esuberante e scombinata (Bejo) porterà un salutare scompiglio nella vita di tutti. Sergio annuncia che questo film, il settimo dietro la cinepresa, sarà la sua ultima regia.
Perché, non si diverte più?
«Per dirigere un set ci vuole un fisico bestiale e credo di non averlo. Ho girato cento film e non devo dimostrare niente a nessuno. Poco male, in famiglia c'è già un regista: mio figlio Pietro».
Ma non l'ha scritturata per I Predatori e non ha intenzione di averla nemmeno nel nuovo film, le dispiace?
«No, è giusto così.

Gli romperei le scatole, è più forte di me. Ma sono sicuro che un giorno mi chiamerà, magari per fare un vecchio nonno. Io aspetto».


Cosa la rende più fiero dell'ascesa di Pietro che, a 29 anni, è un attore e regista richiesto e premiato?
«A nostro figlio abbiamo regalato la libertà di esprimersi e lui se la sta giocando splendidamente. Ci ha annunciato di aver scritto il suo primo film solo a cose fatte. Due genitori ingombranti come noi gli hanno procurato sofferenza, ma oggi è un artista intellettualmente indipendente».
Da romanista, che ha pensato quando Pietro ha interpretato Francesco Totti nella serie Sky Speravo de morì prima?
«Ero felicissimo e andavo in giro dicendo a tutti che ero il padre di Totti».
Perché ha deciso di affrontare l'ultimo copione di Scola?
«Sono rimasto folgorato, è uno splendido melodramma senza tinte forti, una metafora del teatro e un omaggio alla letteratura. Ettore mi aveva diretto nei film La Famiglia, Concorrenza sleale e nella serie Piazza Navona. Mi ha regalato la sua amicizia e una grande lezione di vita, insegnandomi a non montarmi la testa in un ambiente incline alla mitomania».

 


Sono tanti i mitomani nel mondo del cinema?
«Sì, come in tutti gli altri ambienti. Io ho la fortuna e il privilegio di aver sposato Margaret, una grande artista diventata la mia sodale creativa. Non posso fare a meno di lavorare con lei. Siamo due artigiani specializzati».
Si sente invidiato non solo per i successi professionali ma anche per la riuscita del suo matrimonio?
«All'inizio forse lo ero, ma ormai non più. Oggi sono un uomo pacificato».
Come immagina il futuro del cinema?
«Il nostro mondo si sta trasformando. E se ieri la minaccia veniva dalla tv che però finanziava il cinema, oggi si verifica lo stesso paradosso: le piattaforme, che attirano sempre più spettatori, hanno salvato l'industria dando lavoro a tanti. La sala sopravviverà, ma dobbiamo chiederci se la comunità degli spettatori avrà ancora voglia di incontrarsi o ripiegherà definitivamente sugli schermi digitali. Un fatto è sicuro: la pandemia ha fatto innalzare il livello della qualità, tagliando i rami secchi».
Anche lei, a novembre 2020, è stato colpito dal Covid 19: cosa le ha lasciato quell'esperienza?
«Un po' di incertezza in più e la consapevolezza della nostra fragilità. Sono stato ricoverato, poi sono guarito. E ho sempre guardato avanti. Pensare al futuro, e nel mio vedo il ritorno al teatro, è l'unico modo per reagire alle avversità».

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