Miguel Bosè: «Mio padre mi rinchiuse dentro la carcassa di un cervo. Era un "mostro"», le rivelazioni in un libro choc

Miguel Bosè: «Mio padre mi rinchiuse dentro la carcassa di un cervo. Era un "mostro"», le rivelazioni in un libro choc
di Ilaria Ravarino
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Mercoledì 2 Marzo 2022, 07:28 - Ultimo aggiornamento: 4 Marzo, 10:28

«Mi hanno cucito dentro la carcassa di un cervo. L'hanno svuotato dalle viscere, poi mi hanno lasciato là dentro. Sono svenuto: per la claustrofobia, per la mancanza d'aria, per la brutalità del gesto». Per una scena del genere, nel film Redivivo, Leonardo Di Caprio ha vinto l'Oscar. Ed era, appunto, un film. Eppure c'è chi, oggi, può dire di aver vissuto quell'esperienza per davvero. Cucito vivo in un animale. A dieci anni. In una foresta in mezzo al Mozambico. Questo è solo uno dei tanti aneddoti di ordinaria mostruosità dell'infanzia di uno dei miti degli anni Ottanta, il cantante spagnolo Miguel Bosè, oggi star 65enne che ha deciso di raccontare la sua vita in un libro, Il figlio di capitan Tuono, in arrivo in Italia l'8 marzo. Non tutta la sua vita, però, solo il primo terzo: quello precedente al suo esordio come cantante, al Bosé pop star di Super Superman e icona sexy, amato da Andy Warhol e Bianca Jagger, sul set con Pedro Almodóvar prima di rovinarsi con gli eccessi (due grammi di cocaina al giorno sette anni fa) e i casini familiari (quattro figli contesi col compagno Nacho Palau).

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LA SERIE
Prima di tutto questo memorie che non andranno sprecate: finiranno in una serie tv, Bosé, girata in questi mesi per Paramount + ci sono stati vent'anni a cavallo tra la follia e la meraviglia: quelli trascorsi con il padre, il torero Luis Miguel Dominguín, maschio alfa di una dinastia di toreri e sex symbol della Spagna che non deve chiedere mai («un dio in terra») e la madre, Lucia Bosé, attrice e Miss Italia, musa del surrealismo e «donna più bella del mondo».

Due «dei», come li chiama Bosé. Ma anche «due mostri», come racconta nel libro, che gli hanno «reso l'infanzia un inferno». Pubblicate in Spagna lo scorso novembre, le 500 pagine di Capitan Tuono hanno già fatto il giro del mondo. A generare una quantità indescrivibile di meme, e di racconti increduli, sono i capitoli dedicati al padre e alla sua mascolinità più che tossica. Un uomo che non si faceva chiamare papà ma «maestro», preoccupato dal fatto che il figlio leggesse troppo («Ci diventa frocio», diceva alla moglie), deciso a prendersi cura a modo suo dell'educazione del bambino: «Per essere alla sua altezza avrei dovuto imparare a sparare col fucile, a fare l'amore e a fumare prima di 13 anni». A questo, teoricamente, doveva servire il safari in Mozambico, quello culminato con l'episodio del cervo, un rituale compiuto per aumentare la «scarsa carica di testosterone» del figlio.

 


L'ORRORE
Dominguín non poteva credere che Miguel rifiutasse di passare una notte con l'indigena sedicenne che gli aveva procurato, e allora «dopo avermela offerta se la prese lui, mentre io ascoltavo terrorizzato le urla di lei rannicchiato intorno al fuoco da campo». Quando Miguelito torna a casa dal safari (tra l'indigena e il cervo c'è anche la puntura di uno scorpione, una palpebra strappata e quasi il coma), pesa trenta chili. E Lucia Bosé, finalmente, trova il coraggio di cacciare di casa Dominguín: «Quando mio padre ha smesso di giocarsi la vita nell'arena, se l'è rischiata nei letti delle donne che si vantavano pubblicamente di essersi prese il torero. Gli amanti attribuiti a mia madre, invece, erano quasi sempre anonimi e molto più discreti. Ma certo non rimase a guardarsi crescere le corna in testa». Libera dal torero, Bosé non rinunciò a circondarsi di uomini ingombranti: Pablo Picasso per esempio, che accompagnava a scuola il bambino, gli regalava «il primo vestito da ballo», lo consolava come un padre. «Alla recita di fine anno mi feci la pipì sotto, perché ero vestito da nuvola e mi vergognavo. Picasso venne da me e mi disse: sei il più bravo di tutti, sei l'unica nuvola che ha fatto piovere». Picasso, poi Salvador Dalí, e l'attore Helmut Berger con cui Bosè il cui padrino era il regista Luchino Visconti ebbe una storia.
COMPRENSIONE
«Mio padre e mia madre si sono amati di una passione brutale in una Spagna popolata di personaggi che hanno fatto e disfatto il ventesimo secolo. Il mio libro non è un regolamento di conti contro di loro, ma un esercizio di comprensione. L'ho scritto in modo romanzato, direi cinematografico». Sia mai avanzasse qualcosa, niente paura: c'è sempre tempo per farne un film.
Ilaria Ravarino
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