Massimo Ranieri: «Dopo il Festival di Sanremo voglio essere padre a 71 anni»

Il popolare showman napoletano, fra pochi giorni protagonista a Sanremo, parla del desiderio più grande: «Sogno la paternità, non ho perso la speranza e non mi faccio spaventare dall’età»

Massimo Ranieri: «Dopo il Festival di Sanremo voglio essere padre a 71 anni»
Massimo Ranieri: «Dopo il Festival di Sanremo voglio essere padre a 71 anni»
di Andrea Scarpa
6 Minuti di Lettura
Venerdì 21 Gennaio 2022, 09:58 - Ultimo aggiornamento: 21 Febbraio, 23:20

Un'autobiografia appena uscita (Tutti i sogni ancora in volo), il Festival di Sanremo dal 1° al 5 febbraio (canterà Lettera di là dal mare), un nuovo disco da finire (entro aprile, produttore Gino Vannelli) e due spettacoli in teatro (uno da chiudere, l’altro da allestire). Insomma, di impegni quel fuoriclasse di Massimo Ranieri ne ha a sufficienza, ma quello a cui tiene più di tutti non è fra questi. Lo showman napoletano a 70 anni - 71 a maggio - vuole diventare padre. Una figlia ce l’ha, Cristiana, oggi cinquantenne, ma l’ha riconosciuta quando lei ne aveva 24. Stavolta vuole fare le cose come si deve.


Nel suo libro scrive di non aver perso la speranza, pensa che adesso potrebbe essere un buon padre. Ha una compagna? Ci sta davvero provando?
«Sì, certo. Per fortuna l’uomo anche a una certa età può procreare e io, lo dico con grande sincerità, spero tanto di riuscirci».


Anche a breve?
«Sì. Non dico domani, ma è quello che voglio assolutamente fare. Questo sogno da un po’ di tempo mi è entrato dentro.

Credo che potrei essere un padre ideale. Ho anche il fuso orario dell’artista: non sono mattiniero, ma prima delle tre di notte non mi addormento...».


Non è spaventato dalla sua età?
«No, assolutamente. Ci sono quelli che dicono: “Oddio, non va bene. Fai un figlio a 70 anni poi quando ne avrà 10 gli farai da nonno”. Ma che importa, rispondo, gli faccio da padre adesso, poi fra 10 anni si vedrà. Penserà di avere un papà vecchio, ma l’avrà già capito. E chissenefrega. Anch’io quando avevo 16 anni e mio padre ne aveva 50, pensavo fosse vecchio».


Lei, però, ne ha 70.
«Sì, ma oggi a 70 sei considerato abbastanza giovane, a 80 sei anziano, a 100 sei vecchio. È cambiato tutto».


Passiamo ad altro. Come si è fatto convincere ad andare a Sanremo? L’anno scorso aveva detto che la gara non faceva più per lei.
«Ha deciso il mio cuore. La canzone che presento, scritta da Fabio Ilacqua, già autore per me di Mia ragione (ha scritto anche Occidentali’s Karma per Francesco Gabbani, ndr) mi ha ricordato la sofferenza dell’emigrazione, la mia partenza per l’America...».


Conosce i tanti giovani colleghi in gara con lei al Festival? Che ne pensa?
«Molti sono forti, interessanti, altri scopiazzano qua e là. Ma questo è sempre successo, con il rock e con tutte le altre musiche di successo».


C’è qualcuno che di recente l’ha stupita in positivo?
«Sì, Mahmood. Lui è veramente nuovo. E nel 2019 la sua vittoria in un contesto nazional-popolare come Sanremo mi colpì. Vedremo se la sua Soldi durerà, le canzoni belle resistono a tutto, come la mia Se bruciasse la città del 1969. Quando la canto viene sempre giù il teatro. Giuliano Sangiorgi mi dice che è un pezzo rock».


Al Festival è tra i favoriti: almeno il podio se lo aspetta?
«Vado all’Ariston come sempre: per farmi ascoltare e apprezzare dagli italiani. Tutto il resto è in più».


Da dieci anni, puntualmente, si fa il suo nome come conduttore-direttore artistico di Sanremo: quest’anno si libera il posto di Amadeus: è pronto?
«Perché no? Sarei onorato e felicissimo. Sarebbe la ciliegina sulla torta della mia carriera. Sanremo è il nostro Oscar».


Dopo 15 anni ha scritto un’altra autobiografia: perché?
«Per aggiornare il mio pubblico, a cui devo tutto, sulle cose della mia carriera e della mia vita, compresi dolori terribili come la morte dei miei genitori e di mia sorella».


Per arrivare fin qui cosa c’è voluto più di ogni altra cosa?
«Dignità, serietà, dedizione. Mio padre, che ha fatto l’operaio all’Italsider per tutta la vita, me lo diceva sempre. Ho cercato di fare così fin da piccolo. A 7 anni vivevo in strada 12 ore al giorno per lavorare e portare un po’ di soldi a casa».

È stato più coraggioso o incosciente?
«L’uno e l’altro. Per fare questo lavoro è indispensabile esserlo. Ma quando ho deciso di fare l’attore di teatro ci ho messo tanto a lasciarmi andare. Buttarsi all’inizio è stato difficilissimo. Il teatro per me è stato come una seduta psicanalitica».


L’ultima volta che si è buttato?
«Nel 2003, a Macerata, come regista di Cavalleria rusticana e I pagliacci».


Nel libro parla del suo maestro, il grande Giorgio Strehler, regista noto anche per l’ossessiva ricerca della perfezione: la sua ossessione qual è?
«Non tralasciare niente, me l’ha insegnato proprio lui. Divento un cacacazzi, ma poi quello che faccio, da solo o con gli altri, resta. Anche nelle persone».


Nel libro scrive di sentirsi in debito per tutto quello che ha avuto dalla vita: come prova a sdebitarsi?
«Cercando di dare sempre il massimo».


Lo sfizio da togliersi?
«Portare in scena un altro testo di Cechov con la mia regia».


La lezione più importante di questi ultimi due anni così difficili qual è stata?
«Ci crediamo tutti dei, ma questa pandemia ci ha fatto riscoprire la paura. Abbiamo capito che siamo poca cosa, siamo tutti allo stesso livello. E forse questa tragedia ci ha reso un po’ più umani».


Quindi adesso gli italiani visti dal suo palco come sono?
«Sempre gli stessi, i migliori, anche se non ci tocchiamo e non ci baciamo. Noi siamo fatti per stare insieme, vivere e godere».


Dopo Sanremo che farà?
«Un’altra ventina di repliche del mio spettacolo Sogno o son desto, che porterò anche al Teatro Diana della mia Napoli (ha fatto più di 500 repliche, ndr). Poi finirò il disco che sto realizzando con il grande produttore canadese Gino Vannelli, preparerò il nuovo show...».


Quest’estate ha recitato nel film di Franco Nero “L’uomo che disegnò Dio”, con Kevin Spacey: com’è andata?
«Purtroppo non è andata. Ho girato un giorno dopo di lui».


E con Al Bano e Gianni Morandi: il trio di cui si parla da giorni si può fare davvero?
«Certo, perché no? L’idea ci piace, finora non si è fatta perché quando io, il Napoletano, e Al Bano, il Pugliese, eravamo disponibili, il Bolognese era pieno di impegni. Si potrebbe fare prossimamente. Dobbiamo divertirci, abbiamo 70 anni. Anzi no, io ho 70 anni, loro sono più vecchi di me, io sono il più giovane...».
 

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