Giusy Ferreri: «A 15 anni in discoteca mi diedero la droga dello stupro, sono stata subito male per fortuna»

Giusy Ferreri: «A 15 anni in discoteca mi diedero la droga dello stupro, sono stata subito male per fortuna»
di Mattia Marzi
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Domenica 27 Giugno 2021, 08:08 - Ultimo aggiornamento: 16:36

Quando nel 2008 si presentò ai provini della primissima edizione di X Factor lavorava da dieci anni come cassiera in un supermercato. Per partecipare al talent chiese l'aspettativa, temendo che l'esperienza si rivelasse l'ennesimo buco nell'acqua. Conquistò i telespettatori con quella timbrica particolare da Amy Winehouse italiana, come la definirono all'epoca. Non vinse: arrivò seconda dietro gli Aram Quartet (oggi spariti). Però l'ep Non ti scordar mai di me, intitolato come la canzone che le diede Tiziano Ferro, conquistò il Disco d'oro ancor prima dell'uscita: 40mila copie solo di prenotazioni. Alla fine dell'anno le vendite del singolo ammontarono a 286 mila. Tredici anni dopo Giusy Ferreri, 42 anni, non solo è ancora in giro, ma è anche l'artista ad aver passato più tempo in cima alla classifica Fimi dei singoli più venduti in Italia con le sue canzoni: 48 settimane. Meglio di Vasco, Jovanotti, Fedez. Merito dei tormentoni multiplatino, a partire da Roma-Bangkok con Baby K. Dal 2018 è presenza fissa in mezzo a Takagi & Ketra, che dopo Amore e capoeira e Jambo le hanno affidato Shimmy shimmy. «Si completa la trilogia», dice lei.

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È una chiusura del cerchio?
«Sì. Dopo il Brasile e l'Africa, stavolta guardiamo al Medio Oriente. Il video lo abbiamo girato in Tunisia. Mi piace come lavorano: fanno pop di qualità. Il 24 luglio partirà da Vigevano il mio tour estivo. Poi penserò al prossimo album».

 


L'ultimo uscì quattro anni fa: non ha idee?
«Il disco sarebbe dovuto uscire un anno e mezzo fa. Ma le cose sono andate male».


Cos'è successo?
«Il periodo non era quello giusto: da un lato la pandemia, dall'altro l'ondata di uscite. Nell'ultimo anno, poi, mi sono dedicata totalmente a mia figlia (Beatrice, nata nel 2017 dall'unione con il compagno Andrea Bonomo, ndr). È un album importante e non vorrei fallire».


E quindi che fa?
«Dopo l'ultimo disco da interprete tornerò a fare la cantautrice. È una lotta per me ricorrente».


Che vuol dire, i suoi pezzi non piacevano ai discografici?
«No.

Prima di X Factor ricevetti tanti no. Non mi capivano. Trovavano tutto eccessivo: voce, look, scrittura. Mi dicevano che ero la versione femminile di Piero Pelù. Ci ridevo su».


È vero che era una darkettona?
«Dark e ribelle. Ascoltavo Nirvana e Pearl Jam. Poi a 29 anni accettai di seguire la strada che mi indicarono i discografici. Era un'opportunità. In piena esplosione delle nuove voci inglesi, Amy Winehouse su tutte, assecondammo l'onda».


Rudy Zerbi, suo ex discografico, disse: «Senza Tiziano Ferro non sarebbe arrivata da nessuna parte». La ferì?
«Non gli diedi peso. Fuori dal suo ruolo l'ho trovato una persona simpatica».


Quell'etichetta a un certo punto cominciò a starle stretta e fece di testa sua. Prima un disco di cover di Nick Drake, Capossela e altri. Poi la rottura con Ferro e la svolta rock. Non andò bene. Fu un errore?
«No. Avevo bisogno di camminare sulle mie gambe. Ero finalmente autentica, non ruffiana. Ricordo quando feci ascoltare ai discografici La bevanda ha un retrogusto amaro: mi guardarono allibiti».


Perché?
«Era un pezzo punk che parlava di una donna drogata e stuprata in discoteca e che era convinta di essere stata rapita da un marziano».


Un'esperienza personale?
«In parte. Non l'ho mai raccontato. A 15 anni a una festa qualcuno mise nel mio bicchiere delle gocce di benzodiazepine, nel tentativo di abusare di me. Fortunatamente gli amici chiamarono i soccorsi: mi portarono in ospedale e non successe nulla».


Come si passa a un pezzo del genere ai tormentoni?
«Ogni tanto fa bene prendersi qualche soddisfazione personale, oltre al Disco d'oro. Non ho mai ambito a piacere a tutti. Mi piace essere incompresa: mi fa sentire meno omologata».


Si sente un'icona gay?
«Dal 2005. Pubblicai Il party, un manifesto di libertà che cantavo con una tutina in lattice. Andavo anche ai Pride».


Perché sui social non si è esposta sul ddl Zan?
«Mi hanno chiesto di pubblicare la foto, ho detto no: volevo evitare l'opportunismo».


Si è sempre tenuta lontana dalla politica: paura dei giudizi?
«Da ragazzina ho avuto anche io la mia fase zecca e pugno chiuso, ma oggi è tutto un prendersi in giro: sono apolitica».

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