Ambra Angiolini: «Le cicatrici sono opportunità. Nella vita è tutta una questione di occasioni fortunate»

Ambra Angiolini: «Le cicatrici sono opportunità. Nella vita è tutta una questione di occasioni fortunate»
di Gloria Satta
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Martedì 25 Gennaio 2022, 07:25

Ambra Angiolini all'insegna delle emozioni forti. Nel suo nuovo film, La notte più lunga dell'anno di Simone Aleandri (in sala il 27 gennaio), ha un ruolo amarissimo: è Luce, una cubista divisa tra il padre malato (Alessandro Haber) e le notti in discoteca, ma decisa a lasciare quella vita avvilente in cui perfino il sesso orale che accetta di praticare su un tipo per compiacere il datore di lavoro, momento-choc del film, assume i contorni della disperazione. Poi, nella serie Le Fate Ignoranti di Ferzan Ozpetek, a primavera su Disney+, l'attrice sorprenderà ancora nei panni di una lesbica sposata con Anna Ferzetti. Intanto continua a portare in tournée Il Nodo, il testo teatrale di Johnna Adams incentrato sul bullismo. Il lavoro è più che mai centrale nella vita di Ambra, 44 anni e due figli, all'indomani della rottura con l'allenatore della Juve Max Allegri, un caso che a ottobre scorso aveva suscitato clamore sui media e un'ondata di solidarietà nei confronti dell'attrice. Dalla sua casa di Milano, dov'è in isolamento dopo il contatto con una persona positiva (il Covid l'ha già avuto l'anno scorso), Ambra racconta sfide, stati d'animo, progetti.

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A quali emozioni ha attinto per interpretare la cubista pentita?
«A quel dolore profondo che abbiamo provato tutte, in un contesto o nell'altro.

Anch'io, come Luce, sono cresciuta nei crepacci della vita in cui, alla fine, è tutta questione di sliding doors, occasioni fortunate. Il mio personaggio capisce di non aver mai scelto: lo ha lasciato fare agli altri ma ora, anche se cambiare è difficile, nessuno le toglie il diritto di soffrire. Si affaccia alle fessure aperte delle proprie ferite».


È una metafora che ha postato anche sui social, perché?
«Le cicatrici sono opportunità. A me è capitato di trasformarle grazie al cinema. Quando nel 2016 mi sono separata (dal cantautore Francesco Renga, padre dei suoi figli, ndr), ho girato il film 7 minuti di Michele Placido tirando fuori tutta la mia rabbia».


E com'è stato tornare sul set con Ozpetek che nel 2007 la fece debuttare come attrice in Saturno contro?
«Bellissima esperienza. Con lui devi buttare via gli aspetti tecnici e vortuositstici del mestiere per mettere in gioco le tue emozioni. Ferzan ha il potere di entrare nei miei momenti di crisi e tirarmi fuori».

 


Si aspettava che, al momento della separazione da Allegri, la gente prendesse le sue parti con rispetto e affetto?
«Non voglio toccare quell'argomento, preferisco far parlare il mio lavoro».


Com'è iniziato per lei l'anno nuovo?
«Senza aspettative eccezionali. Ma nel mio piccolissimo continuo a lavorare per rappresentare un'alternativa all'isolamento oggi che tutto sembra sconsolante. Anche la politica, diventata solo intrattenimento».


A 14 anni era un'icona della tv, poi ha avuto successo anche nel cinema e in teatro. Cosa le manca?
«Per la scrittura e la regia c'è tempo. Oggi ho un progetto bellissimo in cui credo profondamente: animare dei piccoli laboratori teatrali destinati alle studentesse di Milano e centrati sui disturbi alimentari».


Quelli di cui ha sofferto anche lei e raccontato con coraggio nel libro InFame.
«Vorrei far capire alle ragazze quanto è sbagliata l'ossessione per il corpo che ha rovinato tante persone. Ho voluto postare il servizio trasmesso dalla Rai sui miei 18 anni: iniziava con un primo piano del mio sedere e l'annuncio che avevo finalmente perso i chili di troppo. Oggi una cosa del genere non sarebbe nemmeno pensabile».


Sua figlia Jolanda, che l'ha difesa sui social al momento della rottura con Allegri, ha appena compiuto 18 anni: molto diversi dai suoi?
«Per la sua maturità, Jolanda potrebbe averne compiuti 50. Ha il senso della responsabilità da un bel pezzo. È ancora in cerca della sua strada, intanto studia tantissimo. E io, da mamma scorretta, ogni tanto la tolgo dai libri».


Le quote rosa, ormai applicate in tutti i settori, sono lo strumento giusto per combattere la diseguaglianza di genere?
«Diciamo direttrice anziché direttore, ma le cose non sembrano cambiate. Noi donne siamo ancora incazzate, c'è un terremoto dentro di noi. Ma lo spazio dobbiamo andarcelo a prendere da sole, senza farci abbindolare dalle parole. Non bastano gli slogan a fare la rivoluzione».

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