Xylella e Tap: il conformismo digitale e i compiti dell'informazione

Xylella e Tap: il conformismo digitale e i compiti dell'informazione
di Claudio SCAMARDELLA
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Domenica 8 Ottobre 2017, 21:05 - Ultimo aggiornamento: 21 Ottobre, 16:26
Qualche giorno fa un professore salentino è stato ricoverato in ospedale per lo stress accumulato in una classe formata da alunni troppo chiassosi. Ci sono tornate in mente le parole, vere quanto profonde, scritte qualche mese fa sull’inserto culturale del Corriere della Sera da Salvatore Accardo, violinista di fama mondiale, divoratore di libri oltre che di note, uomo colto e raffinato a differenza di molti che oggi affollano il mondo dello spettacolo (e ogni riferimento ad alcuni artisti del nostro territorio non è puramente casuale). Scrive Accardo: “Non conosciamo più il silenzio. Ciò che offende di più, e ferisce noi musicisti in particolare, è che ormai si sente musica dappertutto, musica senza senso, musica da ascensore. Oggi io non conosco il silenzio. L’unico modo di ritrovarlo è andare sott’acqua..., lo ritrovo soltanto quando mi tuffo nel mare di Otranto e con le pinne mi allontano, mi immergo e sto minuti nell’assenza di suoni. Occorre oggi un’educazione al silenzio, a questa cosa preziosa che nessuno cerca più, di cui quasi si ignora l’esistenza. Oltre il rumore, il vociare, il frastuono. È come un patrimonio che abbiamo perduto. Ed è il silenzio che rende possibile la musica”. Verissimo. Del resto, come insegnava già il grande Toscanini, le pause sono importanti, anzi le pause sono la musica del silenzio.

Naturalmente, la musica non è la sola arte ad avere questo problema. E, in verità, nella riflessione di Accardo la musica rappresenta una metafora di tutti i segmenti della nostra società, dove si produce ormai essenzialmente chiasso con quel processo di auto-comunicazione esploso con la diffusione della rete, in base al quale ognuno genera e distribuisce notizie, informazioni e rappresentazioni. Non di rado, anzi sempre più spesso, false o non verificate. La nostra contemporaneità, dettata dai tempi, dai modi, dagli usi e dai costumi della società tecnologizzata, ormai ignora fino a bandire l’attesa, la pausa, il silenzio. Non concepisce l’assenza e non giustifica il silenzio, imposto magari dalla riflessione e dallo studio. Il chiasso, ovunque, rappresenta solo il livello stratigrafico più alto dell’incontinenza verbale e scritta, dell’ossessione di apparire e di esternare, a cui ci hanno educato la rete e i social.

Siamo da tempo immersi in un mondo di sovrainformazione, ma liquida, superficiale, breve, che scompare con la stessa rapidità con cui appare. E porta con sé un risultato positivo e due negativi. Positiva è certamente la velocità, ormai in tempo quasi reale, con cui apprendiamo le notizie provenienti da qualsiasi luogo del mondo, anche dall’angolo più sperduto del pianeta. Vivere nel villaggio globale ed essere cittadini del mondo - a dispetto di sovranisti e nazionalisti - resta tra le più grandi conquiste dell’umanità e non potrà essere vanificata dall’illusorio innalzamento di nuovi muri e frontiere. Ma il rovescio della medaglia è la chiassosa superficialità con cui ci informiamo, accompagnata dalle sconfinate possibilità, difficilmente contrastabili, di manipolare le notizie e le comunicazioni. Il falso finisce per essere accettato come vero nel grande mare della sovrainformazione liquida e superficiale, e che si autolegittima nei social attraverso il cosiddetto “adattamento interpretativo”: ognuno, cioé, tende ad adattare la notizia ai propri pregiudizi e ai propri convincimenti, anziché ad approfondire. Perché l’approfondimento costa tempo e fatica sia per chi informa sia per chi viene informato. E il tempo e la fatica presuppongono proprio quell’attesa, quella pausa, quel silenzio che la società tecnologizzata ignora fino a bandire. Ecco che torniamo al chiasso. E con il chiasso, all’altra grave, gravissima conseguenza della sovrainformazione liquida e superficiale: il montante conformismo prodotto dalla rete.

Pensiamo a due questioni che riguardano da vicino il nostro territorio: la xylella e Tap. Della prima, conosciamo bene gli sconquassi e i gravissimi guasti provocati dal “fronte negazionista” attraverso i social. Rinnoviamo - e lo faremo fino alla noia - l’invito avanzato qualche settimana fa da queste colonne: digitate nella stringa di Youtube “Salento-ulivi-xylella” e godetevi i video di cantanti, artisti, qualche volontario di professione travestito da ambientalista tuttologo, docenti universitari, coltivatori santoni. Era il 2015: dicevano che la xylella era una bufala, non esisteva. E convinsero gran parte della popolazione salentina, a cominciare naturalmente da quei politici (e sindaci) che oggi si mostrano indignati dei ritardi negli interventi e che allora invece pendevano nei loro comunicati dalle labbra dei negazionisti, che l’emergenza fosse solo un’invenzione dei giornali. Per due anni, il conformismo digitale ha messo sul banco degli imputati, degli insulti e delle minacce chi denunciava l’emergenza. E oggi che la realtà è sotto gli occhi di tutti, nessuno dei negazionisti della prima ora, ovviamente, ha chiesto scusa, nessuno di loro ha avuto il coraggio e il pudore di dire: abbiamo sbagliato, siamo stati forse accecati dall’amore per la nostra terra e per gli ulivi che ci hanno lasciati i nostri nonni, ma abbiamo preso una clamorosa cantonata e chiediamo scusa per i danni fin qui prodotti. Nemmeno uno straccio di autocritica, nemmeno uno squarcio di onestà intellettuale. Hanno, invece, ancora la sfrontatezza di chiedere confronti pubblici, come fossero portatori di verità, e di negare perfino che negavano, nonostante gli eloquenti video su Youtube. Ma per favore!

L’altro caso di chiassoso conformismo digitale riguarda la vicenda Tap. Lo abbiamo già scritto e lo ribadiamo qui con ancora più convinzione: bisogna avere rispetto e ascolto verso chi manifesta per un’idea o una causa, chi protesta democraticamente, chi decide di impegnarsi in prima persona perché vuole difendere l’ambiente e il territorio da lasciare ai propri figli. E bisogna avere rispetto verso uomini e donne che esprimono dubbi, perplessità, dissenso di fronte a scelte che investono la propria terra, soprattutto se questa terra è stata in passato devastata e sottoposta a insediamenti fortemente impattanti e inquinati, o a scempi e abusi commessi con la complicità di amministratori locali, magari gli stessi che oggi salgono sulle barricate ambientaliste. La partecipazione e l’impegno civile sono da esaltare e condividere anche quando producono conflitti e diversità di vedute, non solo se coincidono con il proprio punto di vista. Meglio ancora, in verità, se non sono motivate solo dalla sindrome Nimby (non fatelo nel mio giardino, ma altrove). E tuttavia, anche su questo fronte, sono all’opera i mazzieri da tastiera, i professionisti della piazza, quelli che o “sei con noi” “o “sei contro di noi”, quelli che o “ti schieri contro Tap” o “sei al servizio e al soldo di Tap”. Non c’è via di mezzo, non c’è ruolo dell’informazione, non c’è possibilità di mettere a confronto tesi e punti di vista contrapposti. Il pensiero (e il modo di informare) deve essere unico e dominante, senza cedimenti, senza dialogo, senza confronto a più voci sulla politica energetica, sulla sostituzione del carbone con il gas, su come si è arrivati a San Foca, su chi l’ha proposto, sul rispetto delle procedure previste dalla legge, sulle responsabilità della politica regionale e locale. E allora, se pubblichi quattro interventi “civili” contro Tap, come questo giornale (l'unico in Puglia) ha fatto nel solo ultimo mese, a firma di Antonio Maniglio, Nicolino Sticchi, Maurizio Portaluri e Antonio Trevisi è una cosa normale, tanto normale che passa inosservata agli agit prop in servizio permanente effettivo. Se, invece, dai la parola per un intervento di replica all’amministratore delegato di Tap o pubblichi un punto di vista dell’ex procuratore capo Motta che censura gli atteggiamenti barricaderi di chi ricopre ruoli istituzionali, calpestando le leggi, le sentenze e le procedure amministrative, allora sei un traditore del territorio. E fermiamoci qui, omettendo gli insulti vomitati in rete sulle legittime pagine di pubblicità a pagamento e stendendo un velo pietoso di silenzio su quei politici che per lucrare qualche consenso oggi partecipano alle barricate a San Foca e ieri, con il loro leader maximo, inneggiavano al gasdotto, irridendo gli ambientalisti da salotto. Conformismo digitale di ritorno, in questo caso. Un conformismo, di andata e di ritorno, a cui questo giornale non si accoderà mai.

C’è un modo per uscire dalle pericolose conseguenze della sovrainformazione liquida e superficiale? Sicuramente. Il modo più semplice è che ognuno torni a fare il proprio mestiere, ognuno torni ad “essere” più che ad “apparire”. Anche sfidando i tempi e i modi imposti dalla società tecnologizzata, anche contrastando con coraggio il conformismo digitale. E ritrovando l’educazione alle attese, alle pause, al silenzio, che non è rinuncia o repressione della propria voce, ma riflessione e approfondimento, sapere e conoscenza, oltre che competenza. Insomma, azionando il cervello prima di parlare e urlare. Difficile, certo, ma solo così potremo tornare ad ascoltare buona musica e a non farci assordare da chi fa solo chiasso.
 
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