Chiusi nell'Altrove, untori del nulla. Buon compleanno, xylella

Chiusi nell'Altrove, untori del nulla. Buon compleanno, xylella
di Rosario TORNESELLO
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Domenica 2 Aprile 2023, 12:38 - Ultimo aggiornamento: 10 Aprile, 17:54

Dieci anni, dal primo focolaio accertato a oggi. La xylella rallenta, ma non si ferma (se è chiaro il concetto). Centosessanta km lineari di territorio divorati, dal Salento in su, e meno male che per il batterio – complice la sputacchina – è solo la primavera il periodo fecondo per muovere alla conquista di nuove aree: figurarsi se fosse tutto l’anno. E nel mirino ci sono altri alberi – in aggiunta ai 25 milioni di ulivi già intaccati, uccisi o infettati cambia poco, perché allo stato, santoni esclusi, la guarigione è pressoché impossibile – e ulteriori zone di espansione davanti, a portata di contagio. L’infezione è già nel Barese, area sud. Risale: da quelle parti già tremano. 

La ricerca fa tanto, come le ispezioni e i monitoraggi, ma fatica a tenere il passo. La xylella non è come il coronavirus, per ovvi motivi più esteso e temuto e perciò più combattuto (vedi alla voce vaccini, santoni esclusi-bis). Qui più che altrove imperversa la variante “pauca”, la più insidiosa: ostruisce vasi linfatici stretti per natura e strozza l’ulivo. La politica ha smesso di inseguire la piazza, anche perché la piazza – dopo urla, strepiti, insulti e minacce, Dio la perdoni – è stata desertificata dal riflusso di coscienza (o, più semplicemente, dalle evidenze della scienza). Qualcuno vagheggia commissioni d’inchiesta sulle responsabilità storiche del flagello, da Gallipoli a risalire. I nomi sono scritti sulle pagine dei giornali, e di questa testata di sicuro, ma come fai a negare una commissione in Italia? Qualcun altro insegue la mistica del “Codiro”, come se gli ulivi morissero a grappoli per un complesso di cause e non soprattutto ed essenzialmente per una su tutte, che prima qui non c’era e ora sì: la ics-lella, per dirla come si pronunciava agli inizi, quando si stentava a dare un nome al “fuoco invisibile” (copyright Rielli).

Ed è già una fortuna che si sia smesso di inseguire – in pubblico almeno, in privato chissà – untori, scie chimiche e gomblotti internescional, detto come viene viene. 

Problemi tanti, ancora. Troppi. I giudici amministrativi, anche dopo dieci anni, procedono a volte per salti di carreggiata e inversioni di marcia: eradicare sì, eradicare no, eradicare boh. La lettura di decreti, ordinanze e sentenze è l’ottovolante su cui diritto e giurisdizione discettano di scienza e agricoltura, giocano di fino e però rimandano decisioni che sottendono contenziosi e quindi ulteriori perdite di tempo, variabile indipendente da cui tutto dipende. Chi può, reimpianta con leccino e favolosa, specie resistenti; chi non demorde, ma ne ha fin sopra ai capelli, diversifica: melograno, avocado, fico, carrubo. I fondi sono pochi di fronte alle esigenze, e stanziati solo in parte rispetto alle previsioni. Le procedure burocratiche – altro flagello – tante, complesse e contorte. Infine, l’idea di paesaggio del tutto inesistente, anche al cospetto della perdita di un elemento culturale e identitario robusto ed evidente come l’ulivo, ancor più se centenario o addirittura millenario. Cosa fare? Come? Dove? Secondo quali linee? Si procede in ordine sparso (santoni esclusi-ter).


I protocolli operativi esistono; le norme di legge anche. Se si rispettassero punto per punto, non saremmo qui. Un commissario c’era, ma è stato avversato e ostacolato in tutti i modi, come gli scienziati all’inizio (e come loro addirittura indagato, sic!, e poi prosciolto). Molto si è fatto, per carità: l’Unione europea valuta di archiviare la procedura di infrazione aperta contro l’Italia per la gestione dell’emergenza. Ma molto resta da fare per dare linearità e coerenza agli interventi, dolorosi senza dubbio (chi lo nega?) ma necessari. Come per la pandemia da Covid, se conserviamo un briciolo di memoria. Nell’attesa, la xylella va avanti da sé. E noi qui, a tratti come inutile carrozzone.
 

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