Università, le scelte contro il Sud

di Guglielmo FORGES DAVANZATI
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Martedì 28 Giugno 2016, 16:36
L’ultimo libro di Gianfranco Viesti (“Università in declino, un’indagine sugli atenei da Nord a Sud”, Donzelli editore, 2016)  è una dettagliatissima e lucida analisi degli effetti delle politiche di de-finanziamento delle Università pubbliche in Italia e, soprattutto, degli effetti che queste politiche hanno prodotto sull’andamento dei divari regionali. Ne emerge un quadro a dir poco desolante per il Mezzogiorno e certamente preoccupante per i suoi giovani, le loro famiglie, e per l’economia meridionale. In estrema sintesi, le Università del Sud sono di gran lunga le più sottofinanziate nel sistema universitario nazionale e - si badi - non lo sono (esclusivamente) per la loro scarsa “qualità” ma per effetto di decisioni politiche, fatte passare per questioni puramente tecniche, che oggettivamente le penalizzano.

In sostanza, i Governi che si sono succeduti negli ultimi anni, a partire dall’imponente taglio di risorse al sistema formativo voluto dall’ex Ministro Tremonti, a fronte della riduzione generalizzata della spesa per la formazione e la ricerca in Italia (-21% contro il +20% della Germania), redistribuisce fondi (decrescenti per tutto il sistema formativo nazionale) sulla base di algoritmi che non tengono in alcun conto variabili di contesto: a titolo esemplificativo, l’Università del Salento riceve meno fondi di una delle Università di Milano a ragione del fatto che i suoi laureati trovano più difficilmente occupazione rispetto ai loro colleghi milanesi. È palese che non c’è nulla di puramente “tecnico” in questa scelta: non si può ignorare che trovare occupazione nel Salento è cosa assai più difficile che farlo in Lombardia. Né si può ritenere che sia compito di una Università modificare il sistema economico del territorio nella quale è collocata. Altrettanto ovvio è il fatto che l’Università del Salento fa molta più fatica a reperire finanziamenti esterni, da privati, rispetto a un’Università del Nord.

Il libro di Viesti ha il merito di dar conto di questo scenario con estrema dovizia di dati e di riferimenti normativi. Il suo è un approccio estremamente equilibrato: a fronte dell’inoppugnabile evidenza di un attacco al sistema della formazione e della ricerca, non vanno sottovalutati, a suo avviso, casi, frequenti soprattutto e purtroppo nel Mezzogiorno, di “reclutamenti sbagliati”: ovvero di assunzioni di ricercatori poco produttivi, spesso, purtroppo, assunti non sulla base della loro effettiva produttività. Qui l’autore fa riferimento ai risultati generalmente negativi che l’attività di ricerca nelle sedi meridionali ha ottenuto, avendo come riferimento l’esercizio di valutazione della ricerca condotto dall’Agenzia Nazionale di Valutazione della Ricerca (Anvur). Va ricordato che la valutazione della qualità della ricerca (Vqr) gestita dall’Anvur è estremamente discutibile e che è stata recentemente oggetto di boicottaggio da parte di numerose sedi – per inciso, l’Università del Salento ha fatto registrare fra le più alte adesioni alla protesta. Non è qui il caso di dettagliare le motivazioni contro la VQR, motivazioni che si trovano in articoli recentemente ospitati anche su questo giornale.

Viesti ritiene comunque che, al netto dell’inadeguatezza della VQR, il problema della più bassa qualità della ricerca negli atenei del Sud, in effetti, esiste ed è inutile negarlo: da un certo punto di vista, la sua scelta è condivisibile soprattutto perché, in tal modo, si riduce la pulsione a rivendicare maggiori risorse per le sedi del Sud senza interrogarsi sulla efficacia del loro utilizzo (secondo il peggior schema del ‘meridionalismo piagnone’). Occorre quindi individuare le ragioni, tecniche o politiche, che hanno spinto e spingono i decisori politici ad accentrare le risorse in pochi poli localizzati al Nord. Le motivazioni di questa scelta possono essere due.

1. Si può ritenere che, in condizioni di scarsità di risorse, sia più efficace premiare i centri nei quali si fa ricerca di più elevata qualità (assunto che questa sia oggettivamente certificata dalla Vqr). Questa tesi è oggetto di un’ampia controversia, soprattutto nel caso italiano, laddove, come ampiamente riconosciuto, il sistema si configura come un sistema a “eccellenze diffuse”. In altri termini, è altamente probabile che vi siano studiosi estremamente produttivi in sedi periferiche e docenti inattivi in sedi considerate o percepite come ‘eccellenti’. L’accentramento delle risorse, letto in quest’ottica, avrebbe senso solo se si riuscisse a mettere insieme, in poche sedi, i migliori ricercatori italiani nei diversi ambiti disciplinari. Cosa che, a legislazione vigente, non è possibile. Se dunque non esistono argomenti solidi per stabilire che una delle Università di Milano è, in assoluto e per tutti gli ambiti disciplinari, qualitativamente superiore all’Università del Salento, si può decretare l’assoluta inefficacia delle misure (in atto) di accentramento delle risorse e, per conseguenza, considerare la questione sotto un profilo propriamente politico.
2. Da numerose dichiarazioni di esponenti del Governo, a partire dal Presidente del Consiglio, e da componenti dell’Agenzia Nazionale di Valutazione della Ricerca (Anvur) si può agevolmente intuire che si intende realizzare un progetto di differenziazione delle sedi universitarie, a danno di quelle meridionali, collocando al Nord le research university e al Sud le teaching universities (poco più che Licei). La più recente esternazione a riguardo la si deve al professor Daniele Checchi, componente dell’Anvur, per il quale le Università meridionali si sono auto-distrutte e ciò che occorre fare è chiudere le Facoltà di Medicina e Giuriprudenza al Sud. La realtà è ben diversa: le Università meridionali sono state (quasi totalmente) distrutte da provvedimenti di sistematico e continuo sottofinanziamento, in un quadro generale di sottofinanziamento dell’intero sistema formativo. E vi è una ragione. Le imprese meridionali, di piccole dimensioni, poco propense a innovare, poco esposte alla concorrenza internazionale, non hanno bisogno né di manodopera altamente qualificata né di ricerca di base e applicata. Le (poche) imprese italiane che spendono per ricerca sono localizzate al Nord ed è dunque “razionale”, in quest’ottica, accentrare le risorse in quelle sedi. Il “prestigio” qui non conta nulla, né potrebbe contare dal momento che non disponiamo di criteri che stabiliscano che l’Università del Salento, poniamo, è meno ‘prestigiosa’ di una delle Università di Milano.

In definitiva, va dato atto al libro di Gianfranco Viesti di aver posto la questione della crisi dell’Università italiana e, ancor più, di quella meridionale all’attenzione del dibattito pubblico. Se i decisori politici intendono demolire i centri di ricerca del Mezzogiorno abbiano il coraggio di dirlo. Abbiano il coraggio di non affidarsi agli improbabili tecnicismi dell’Anvur per cercare, in un percorso estremamente tortuoso che inganna gli studenti meridionali e le loro famiglie, di raggiungere l’obiettivo che intendono realizzare: declassare in serie B le Università del Sud, mettere in serie A quelle del Nord.
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