Caro Emiliano, ora proponi una legge anti-trivelle

di Carlo SALVEMINI
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Domenica 3 Aprile 2016, 20:23
Seguo con interesse il dibattito referendario e, soprattutto, l'impegno profuso dal vasto movimento civico-politico-istituzionale per l’abolizione della norma - introdotta nel 2013 - che consente lo sfruttamento dei giacimenti autorizzati ed operanti entro le dodici miglia marine fino all’esaurimento e non più alla scadenza della durata della concessione. Quali sono gli argomenti cardine che vengono proposti nel confronto politico di queste settimane per sostenere le ragioni del Sì?
Essenzialmente tre:
1. difendere la bellezza del nostro paesaggio marina dalla deturpazione delle piattaforme di estrazione;
2. proteggere la salute delle nostro mare dal rischio di incidenti petroliferi che sarebbero letali dentro un mare chiuso come il mediterraneo;
3. ribaltare il paradigma sul quale è impostata la nostra politica energetica per costringere il governo ad investire sulle rinnovabili per abbandonare le fossili.

Valutazioni rilevanti che entrano nel merito di una una questione all'inizio contraddistinta da una mera disputa istituzionale legata ad al conflitto di competenze tra Governo e Regioni (chi deve decidere la politica energetica in Italia dopo la modifica del Titolo V e in attesa del referendum confermativo sulla riforma costituzionale). Ma che rischiano l'irrilevanza se non si pongono l'obiettivo di dare risposta ad una domanda finora elusa ed invece cruciale nel confronto: cosa succede per le prospezioni oltre le 12 miglia?

Non tutto sanno che fino al limite della cosiddetta “piattaforma continentale” vi è il diritto esclusivo di sfruttamento delle risorse minerarie da parte dello Stato costiero; ciò significa che chi vuole sfruttare quelle risorse deve rivolgersi esclusivamente al Governo. Pertanto è l’Italia, nella piattaforma continentale di propria competenza, anche oltre le 12 miglia, a decidere se rilasciare concessioni o meno secondo il diritto interno. Questa situazione trova ulteriore conferma nei dati disponibili presso il Ministero delle sviluppo economico: il referendum anche in caso di vittoria del SÌ non incide sulle 25 autorizzazioni in mare oltre le 12 miglia esistenti né potrà impedirne - sempre oltre le 12 miglia - di nuove. Ecco perché il rischio è che si stia combattendo una battaglia politica con una arma scarica essendo chiaro che i tre argomenti cardine sui quali è costruita la campagna per il SÌ cessano di esistere superate le 12 miglia: perché il nostro paesaggio verrebbe comunque ad essere sfregiato dalle piattaforme, perché il rischio di incidente non verrebbe annullato, perché si potrà continuare ad investire sui combustibili fossili.

Per questa ragione mi permetto di fare una proposta a Michele Emiliano, riconosciuto portavoce ufficiale del movimento per il SÌ: lanci come presidente della Puglia (e in accordo con le altre Regioni che hanno promosso il referendum) una proposta di legge per vietare le prospezioni a mare anche nella “piattaforma continentale” avvalendosi dell’art. 121 della Costituzione (“il consiglio regionale può fare proposte di legge alle Camere”). Indipendentemente da quello che sarà l’esito del voto del 17 aprile.

In questo modo si otterrebbe un risultato importante: si rafforzerebbero ulteriormente gli argomenti per votare SÌ al referendum; si impegnerebbe il Parlamento in una discussione consapevole e approfondita su quale strategia energetica si vuole perseguire nei prossimi 50 anni, valutandone rischi-benefici-opportunità; si silenzierebbe l'attacco di quanti tacciano di populismo e politicismo il movimento per il SÌ. Sarebbe questa una grande opportunità per uscire dalla ristrettezza di un quesito tecnico di per sé marginale per aprire invece un grande dibattito pubblico sul futuro del nostro Paese: energia, clima, ambiente. Ossia le sfide di questo secolo.
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