La prima tappa del viaggio in Puglia attraverso il consolidato mondo delle infrastrutture bocciate o assolutamente da rivedere, a partire dai trasporti pubblici (ieri la puntata sui treni, domani quella sui bus), ha attirato attenzione, interessi e commenti. Il giro del Salento in 12 ore, un'odissea tradotta in un dettagliato reportage, scritto e fotografico insieme, è l'istantanea con cui dover necessariamente fare i conti. La contestazione che a breve l'offerta di collegamenti sarà implementata, a servizio della stagione estiva, lascia il tempo che trova (e da queste parti, ieri, grandine e burrasca, il che è tutto dire). E tanto per almeno due motivi. Quelli essenziali, ovvio. Perché, à côté, ognuno ne avrebbe di propri e personali da aggiungere.
Il primo, dunque. Spostarsi con i mezzi pubblici è diritto non solo del turista o del visitatore occasionale, ma anche (non necessariamente soprattutto, ospitali come siamo) dei residenti, dei lavoratori pendolari e degli studenti. E fin qui si cammina sul velluto: la storia dei ritardi, dei disservizi e delle inefficienze (anche con corredo di scandali) è talmente vasta che ognuno di noi viene al mondo, da queste parti, non solo con una dote cospicua di debito pubblico ma anche con le lancette spostate all'indietro, e non per vacuo piagnisteo. Hai voglia a dire dei ritardi del Sud quando queste sono le premesse.
Ben vengano raddoppi, aumenti di corse, servizi aggiuntivi, majorettes, cheerleaders, frizzi e lazzi alle fermate (ovvio, non sarà così: i treni scassati resteranno scassati, le stazioni spoglie e isolate non vivranno inusitate effervescenze in luoghi meno appartati). Ma il tema non cambia, e questo è il punto se il problema torna ineludibile quando le giornate iniziano ad accorciarsi, cosa che costringe tutti a prendere le auto, quindi a intasare le strade, perciò a cercare parcheggio e, in definitiva, ad alimentare l'inevitabile caos, con ulteriori e non rari effetti molto più tristi e mesti. L'efficienza è fattore democratico di civiltà, soprattutto per chi ha meno mezzi a disposizione (è il caso di dirlo), oltre che indicatore prioritario di sviluppo.
E poi, il secondo motivo. Che senso ha invocare l'impronunciabile destagionalizzazione se poi, al di fuori del periodo caldo, il Salento si presenta privo del minimo indispensabile al sopraggiungere dei primi turisti? Da qualche anno, complice la sciagurata stagione della pandemia, viviamo afflussi inattesi, prematuri e considerevoli di vacanzieri.
Proseguiremo con il nostro viaggio, racconteremo la pigrizia e l'indolenza di questa terra, il volto impresentabile di una Puglia che, sotto molti aspetti, sa pensare, progettare e fare bene, meglio di tanti altri. Indicheremo disservizi e inefficienze, un patrimonio condiviso di sconforto e disillusione a giudicare dai commenti arrivati a valanga via social dopo la pubblicazione della prima puntata del viaggio. Poi, però, sarà necessario trarre le opportune conclusioni. E capire di cosa parliamo quando parliamo di ripresa e resilienza. Se di un'abbuffata senza precedenti o di un'occasione priva di ulteriori appelli per ridurre sprechi, azzerare ritardi, recuperare gap storici e mettere tutti noi al passo con l'Europa più virtuosa. Perché resilienti lo siamo, con abbondanza di riferimenti storiografici, biografici, sociologici ed economici. Il problema, semmai, è la ripresa. Soprattutto se la ripartenza è sincronizzata sull'orologio sbagliato. E in imperdonabile ritardo.
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