Tra memoria e narrazione lo stesso volto dei nostri tempi

di Antonio ERRICO
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Domenica 30 Giugno 2019, 19:13
Talvolta si dice che questo tempo non abbia più memoria, che aderisca esclusivamente al presente senza riconoscere i significati fondamentali del passato. Si dice che sia diventato ormai irreversibile il processo prodotto dalle incursioni dell’oblio, che non c’è nulla che viva oltre l’istante in cui avviene, nulla che resista, che si costituisca come modello, esperienza di riferimento. 

Si dice così, talvolta, forse spesso, e non si può escludere che ci sia qualcosa di vero, come non si può neppure escludere che ci sia qualcosa di falso. Probabilmente, come molte delle faccende che riguardano l'umano, è un po' falso e un po' vero nella stessa misura e allo stesso tempo, ma in ogni caso è sempre soggetto ad una interpretazione individuale e collettiva, che in quanto interpretazione muta in relazione alle circostanze che intervengono su di essa, che ne determinano l'orientamento, la conformazione, la consistenza.
Ma non si può neanche escludere la possibilità di una ulteriore considerazione, cioè che questo tempo abbia completamente trasformato tanto le forme della memoria quanto il rapporto che stabilisce con essa. Non si può escludere che sia mutato lo stesso concetto di passato e conseguentemente quello di memoria.

Può essere vero, può essere falso, può essere qualcosa che va al di là del vero e del falso, può essersi verificata una mutazione profondissima che ha coinvolto i concetti di memoria e di passato, dunque. Quello che però può essere accettato senza troppa difficoltà è il mutamento che si è verificato nei metodi di elaborazione, di costruzione della memoria. Soprattutto in quello che da sempre è stato il metodo se non esclusivo comunque predominante, che è la narrazione: il racconto di un'esperienza che qualcuno fa ad un altro, con qualsiasi forma, con qualsiasi linguaggio, ma in una relazione che mette insieme la fisicità di chi racconta e di chi ascolta.

A questo punto, la conclusione sarebbe, o sembrerebbe, abbastanza facile: il tempo che attraversiamo ha perduto la memoria perché durante l'attraversamento noi abbiamo perduto l'interesse o il desiderio o il bisogno di raccontare in una condizione di prossimità. Forse abbiamo creduto che qualcosa di diverso da noi, uno strumento diverso dalla nostra voce, dalla nostra scrittura, dalla nostra parola, potesse farlo al nostro posto, e abbiamo rinunciato a raccontare, ce ne siamo rimasti in silenzio. Non siamo soli, durante l'attraversamento. Abbiamo sempre qualcuno davanti a noi, accanto, dietro di noi, ma facciamo tutti silenzio. Davanti vanno quelli che hanno cominciato il viaggio prima di noi, e restano in silenzio. Accanto ci sono coloro che hanno cominciato il viaggio insieme con noi, ma restano in silenzio loro, restiamo in silenzio noi; dietro vengono quelli che hanno cominciato il viaggio dopo, ma non fanno domande, non sperano risposte.

Nessuno racconta più. Dopo la scomparsa delle grandi narrazioni, si è verificata la scomparsa anche delle piccole narrazioni: di quelle quotidiane, essenziali, per frammenti. Aveva già visto e compreso tutto Walter Benjamin, già a metà degli anni Cinquanta, in quello straordinario saggio sul narratore contenuto in quello straordinario libro che è Angelus Novus. L'arte del narrare si avvia al tramonto, diceva. Diceva che capita sempre più di rado d'incontrare persone che sappiano raccontare. E' come se fossimo privati di una facoltà che sembrava inalienabile, la più certa e sicura di tutte: quella di scambiare esperienze.

Allora la conclusione è facile. La memoria è scomparsa perché è scomparsa la narrazione.

Però potrebbe venire il sospetto che la narrazione non sia scomparsa, che invece sia mutata, e che di conseguenza sia mutata la memoria trasmessa attraverso la narrazione.

Probabilmente si racconta ancora perché è impossibile non raccontare. Ma si racconta in maniera diversa, con forme diverse, con linguaggi diversi. Per cui diversa risulta la costruzione della memoria e la sua rappresentazione.

Con molta probabilità una funzione determinante nel processo di mutazione della narrazione e della memoria, viene assunta dalla tecnologia. Perché la tecnologia ha cambiato e continua a cambiare in modo vertiginoso le forme della narrazione. Fino ad un certo punto, il racconto si è realizzato esclusivamente attraverso la voce e la scrittura. Poi la tecnologia di massa ha proposto nuove forme di racconto, più rapide, sintetizzate, essenzializzate all'estremo. Forse si tratta di forme che hanno coerenza con il tempo e dunque frammentarie, discontinue, disarticolate. In fondo la narrazione appartiene al tempo, è parte del tempo, lo rappresenta, si fa traduzione dell'esperienza di vivere il tempo, e il tempo presente ci consente soltanto esperienze frammentarie, discontinue, disarticolate. Sono esperienze continuamente interrotte da altre, costantemente distratte. Così anche all'interno di un racconto si verificano le fratture.

La memoria di questo tempo si riguarda allo specchio della narrazione, dunque, e come essa si ritrova frammentaria, discontinua, disarticolata. Priva di sequenza logiche, cronologiche. Disorientata perché non può rintracciare il punto da cui comincia, non è in grado di riconoscere le direzioni che ha seguito, non può ripercorrere le strade che ha percorso.

Allora, forse la memoria non è scomparsa, non è scomparsa la narrazione. Dalle bisacce che ci portiamo dietro nel corso del cammino, tiriamo fuori uno strumento con il quale raccontiamo, attraverso frammenti di immagini e parole, com'è il paesaggio che si apre intorno, forse anche che cosa stiamo pensando in quel momento, forse anche l'emozione che stiamo provando. Lo raccontiamo così, con una modalità che ha abolito i tempi di mediazione, che ha modificato le strutture del racconto. Lo raccontiamo a quelli che camminano davanti a noi e a quelli che ci camminano accanto, che vengono dietro.

Lontanissimi anche nella vicinanza. Senza prossimità, senza i significati che vengono portati da una pausa, uno sguardo, un sospiro che provocano l'attesa di ulteriore racconto.

 
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