Il terrorismo e gli anni di piombo: l'obbligo della verità dopo l'intervista del capo dello Stato

Il terrorismo e gli anni di piombo: l'obbligo della verità dopo l'intervista del capo dello Stato
di Giovanni PELLEGRINO
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Martedì 11 Maggio 2021, 05:00

Nel giorno della memoria, in una lunga intervista apparsa su Repubblica, il Capo dello Stato ha ribadito la necessità che sugli anni di piombo sia fatta piena luce e per contribuirvi ha riconosciuto - per la prima volta da un luogo istituzionale così alto - che negli anni ’70 l’Italia è stata teatro di una vera e propria guerra asimmetrica vinta dallo Stato, che ha saputo sconfiggere i terrorismi rosso e nero. Il primo più forte, perché fiancheggiato da una zona grigia composta da quanti, anche intellettuali prestigiosi, in quegli anni avventurati dichiararono pubblicamente di non essere né con lo Stato, né con le Br.


L’auspicio del Capo dello Stato è senz’altro condivisile soprattutto da chi, come me, già vent’anni fa con Giovanni Fasanella e Claudio Sestieri pubblicò da Einaudi un libro-intervista, in cui riassumevo i sette anni di presidenza della Commissione di inchiesta sul terrorismo e le stragi. In quelle pagine provai a descrivere i terribili anni settanta come una vera e propria “guerra civile a bassa intensità” comprensibile soltanto se inserita nell’orizzonte globale della Guerra fredda, da Cossiga intelligentemente definita “una terza guerra mondiale a bassa intensità”.


Questo allargamento di orizzonte continua ad essere oggi dovuto, perché consente di individuare anche una zona grigia contigua al terrorismo nero, tanto più grave perché di natura istituzionale. I tempi sono ormai maturi per riconoscere che gli apparati di sicurezza dello Stato abbastanza presto nel dopo guerra iniziarono ad utilizzare giovani militanti di “Avanguardia Nazionale”, “Ordine Nuovo” e “Ordine nero” come milizie irregolari da impegnare nel contrasto al comunismo, obiettivo dell’intero occidente nella guerra mondiale a bassa intensità descritta da Cossiga. Così presiedendo la Commissione di inchiesta, a me sembrò chiaro che l’interrogativo che tutti dovevamo porci per fare fino in fondo i conti con le nostre storie diverse, stava nel chiederci perché negli anni settanta una intera generazione di giovani assunse in Italia posizioni politiche radicali, in tanti optando per la scelta sanguinaria delle armi, gli uni per trasformare una democrazia giovane in uno stato autoritario, gli altri per realizzare il leninismo, senza valutare questi ultimi la velleità del disegno in un mondo diviso in due dal patto di Yalta e in cui all’Italia era toccato un ruolo di difficile e tragica frontiera.

Il prezzo dell'impunità


L’obiettivo di chiarezza indicatoci dal Capo dello Stato dovrebbe indurci oggi a riconoscere innanzitutto come pagare prezzi di impunità sia stato necessario per sconfiggere le BR, ottenendo preziose collaborazioni da quanti (e non furono pochi) ebbero con queste contatti chi per paura, chi per opportunismo o chi anche per “la irresponsabile civetteria”, cui Cossiga accennò con sottile perfidia in un memorabile flash televisivo. Della probabilità che prezzi di impunità siano stati pagati anche con l’avallo della magistratura ebbi conferma, quando con l’amico Enzo Manca, vicepresidente della Commissione, consegnammo gli atti di una nostra indagine alla Procura romana, che aveva in corso una ennesima inchiesta (penso fosse giunta al Moro octies) sull’omicidio del leader democristiano.


Negli atti che consegnammo agli inquirenti romani rientravano gli apporti venuti da due magistrati toscani Tindari Baglioni e Gabriele Chelazzi (allora vice procuratore nazionale antimafia), che avevano con successo sbaragliato il comitato rivoluzionario toscano, colonna fiorentina delle BR composta da terroristi non ancora entrati in clandestinità.

Quegli apporti rendevano fondato il sospetto che al sequestro e all’omicidio Moro avesse partecipato Giovanni Senzani, l’irregolare “che in Firenze durante il sequestro Moro batteva a macchina i comunicati delle BR distribuiti in tutta Italia”, di cui senza farcene il nome ci aveva parlato Valerio Morucci nel corso di una audizione protrattasi sino ad ore notturne.

La verità e le scelte coraggiose


L’effetto della iniziativa di Manca e mia fu… devastante! La magistratura romana si affrettò a chiudere l’inchiesta e quando in anni successivi Enzo Manca, non più parlamentare, provò coraggiosamente a chiedere copia degli atti della archiviazione gli fu opposto, che non essendo né un indagato, né una parte civile non aveva diritto di conoscerli. A me sembra ora evidente che i prezzi di impunità, di cui le scelte della magistratura romana confermavano il sospetto, costituirono il prezzo di patti che, anche se non formalizzati, non possono ancora oggi essere disattesi, sicché sugli anni di piombo giustizia non può più essere fatta almeno per intero. 
È invece ancora possibile adempiere ad un dovere di verità, ma a tanto occorrono scelte coraggiose. Nel 2008 il libro “Segreto di Stato” edito da Einaudi ebbe per i tipi di Sperling & Kupfer una seconda edizione integrata, che ebbe come sottotitolo “Verità e riconciliazione sugli anni di piombo”. Nella integrazione esponevo l’idea di Alfredo Mantica, ex sanbabilino capogruppo di Alleanza nazionale nella Commissione, che proponeva che questa evolvesse in un organo parlamentare, che sul modello sudafricano fosse investito per legge del potere di concedere il perdono a quanti confessassero la verità. È una idea che potrebbe tornare di attualità oggi che, se anche ottenessimo dalla Francia l’estradizione dei vecchietti, che per anni vi hanno trovato rifugio, metterli in galera non servirebbe a molto perché non varrebbe a pagare per intero il debito di giustizia, appunto perché vi sono patti di impunità, che non possono essere violati.


Per fare sugli anni di piombo la chiarezza auspicata dal Capo dello Stato è quindi probabilmente necessario disdettare il patto di indicibilità, di cui in anni lontani trasparentemente parlò Renato Curcio, quando, commemorando Mauro Rostagno, si domandò: “Perché ci sono tante storie in questo Paese che vengono taciute o non potranno mai essere chiarite per una sorta di sortilegio? Sorta di complicità fra noi e i poteri che impediscono ai poteri e a noi di dire cosa è veramente successo… quella parte degli anni Settanta, quella parte di storia che tutti ci lega e tutti ci disunisce”. È possibile dire oggi ciò che veramente è accaduto? Spero di si e continuerò a coltivare questa speranza negli anni, ovviamente non molti, che ancora mi restano da vivere.
 

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