Dopo la sentenza su “Ambiente svenduto": metamorfosi di una città che riscopre la propria bellezza

Dopo la sentenza su “Ambiente svenduto": metamorfosi di una città che riscopre la propria bellezza
di Giovanni CAMARDA
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Giovedì 3 Giugno 2021, 05:00

Taranto non sembra Taranto. Non più, da un po’ di tempo in qua ma particolarmente in questo 2 giugno assolato e addolcito da una brezza di sud-ovest, sul lungomare che pare un altrove, la Barceloneta o Cannes, e tanta gente affacciata alla ringhiera a fermare il tempo nel proprio smartphone. E turisti, a frotte, tutti sereni, composti, sorridenti: si vede proprio che si stanno beando del panorama, di ciò che li circonda, di un contorno nel quale non si notano sbrechi, in cui nulla è fuori posto. Anche i vigili sono perfettamente calati in un contesto privo di stress, di code, di clacson, di auto parcheggiate in doppia e tripla fila, secondo costume. Tutto scorre placidamente, in una pulizia persino sorprendente: c’è addirittura chi si premura di gettare le cartacce nei cestini per la differenziata. Uno choc da far venire un mancamento. Non ci fossero le ciminiere, nessuno penserebbe che questa è la città famosa per l’Italsider, poi Ilva, ArcelorMittal, Acciaierie d’Italia e chissà cos’altro domani. 

La metamorfosi di una città

Un luogo conosciuto al mondo non più per essere stata la capitale della Magna Grecia ma per il mostro che da sessant’anni inquina e deturpa, fa ammalare e morire le persone, la flora, la fauna - secondo la sentenza di primo grado di Ambiente svenduto e numerosi studi scientifici, a partire da quello Sentieri. Adesso Taranto, ed era ora, comincia ad essere altro, soprattutto altro, sprigionando la voglia di mettersi alle spalle la lunga e dolorosa stagione dei veleni. Lo spettacolo di oggi spiega che non si tratta più di proclami ma di un percorso concreto, avviato felicemente, tangibilmente. La straordinaria coincidenza di due eventi - lo sbarco dei crocieristi Msc e la presenza dei catamarani SailGp in rada - è la meravigliosa rappresentazione di un cambiamento effettivamente cominciato. Non che i problemi siano risolti, ovviamente, tuttavia mai prima d’ora Taranto aveva prodotto questo slancio, uno sforzo così pervicace verso una trasformazione che per decenni è rimasta nelle pagine dei giornali e nelle dichiarazioni d’intenti e che adesso sembra camminare sulle gambe di progetti veri, sostenuti da idee intelligenti e da risorse in molti casi già assicurate.

Oggi si parla del SailGp e delle crociere settimanali (grazie anche al ruolo dell’Autorità portuale) ma c’è molto altro in itinere, e su più fronti: l’ambiente, l’urbanistica, la mobilità, la cultura. Si fa fatica ad elencarli tutti ma anche a immaginare che tanti programmi alla fine saranno realizzati ed è probabile che qualcosa si perda fatalmente per strada, tra un intoppo burocratico e un cambio di prospettiva. Però basterebbe molto meno del tutto per far diventare Taranto un’altra cosa in un arco di tempo nemmeno troppo ampio, anche solo per il 2026, l’anno dei Giochi del Mediterraneo e del completamento annunciato delle Brt, le linee Bus rapid transit già in parte finanziate. Una svolta che, curiosamente, non tutti colgono, quasi fossero qui solo da qualche giorno e non da una vita. Eppure non è da ieri che i problemi sono noti, chiari; non è da ieri che si ha contezza di quanto nociva sia la produzione della grande industria; lo si sapeva già all’epoca dei metalmezzadri. E anche allora c’era uno Stato, una magistratura, un’amministrazione comunale, c’erano i sindacati. C’era anche chi paventava i rischi, ma erano veramente in pochi, tanto pochi che nessuno li prendeva sul serio. Non succedeva niente.

Si è dovuto attendere fino all’inizio di questo secondo millennio perché l’emergenza diventasse una questione nazionale. Per cui, tutto considerato e alla luce dei ritardi accumulati in anni nei quali la letalità della produzione era anche superiore - e di molto - a quella attuale, forse sarebbe anche il caso di valutare diversamente quello che sta accadendo ora e non è accaduto prima.

La bellezza recuperata

Sullo sfondo c’è sempre lo Stato (un governo piuttosto che un altro), ma si comporta diversamente. Ed è lo Stato che finanzia - facendo ammenda tardivamente delle omissioni di decenni - molta parte di questo tentativo di ripartenza. È lo Stato, con la magistratura, a cristallizzare in una sentenza di primo grado responsabilità riferite però soltanto ad una frazione di tempo nella gestione di una fabbrica che c’era prima dei Riva e inquinava anche di più, secondo un percorso di riduzione dei danni ambientali drammaticamente troppo lento e arrivato fino ad oggi. Così come a guidare la transizione verso un nuovo modello di sviluppo è “soltanto” un’amministrazione comunale, come ce ne sono state tante altre in sessant’anni senza che alcuna riuscisse a mettere l’azienda spalle al muro con’ordinanza finalmente suffragata dal giudizio concorde di un tribunale amministrativo. Anche questo un segnale di cambiamento, un tassello decisivo per arrivare a godere, il 2 giugno, di una bellezza che c’era anche prima senza che gli stessi tarantini se ne accorgessero. Quasi un punto di partenza verso un traguardo che oggi, forse per la prima volta, per quanto ancora molto distante sembra davvero davanti agli occhi di tutti.
 

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