La crisi dei sindaci: così l'arrembaggio dei partiti fa sfiorire un'altra primavera

La crisi dei sindaci: così l'arrembaggio dei partiti fa sfiorire un'altra primavera
di Mauro CALISE
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Lunedì 17 Maggio 2021, 05:00

Sarà pure vero – come ha detto Sala e Bassolino ripete da trent’anni – che fare il Sindaco è il mestiere più bello, ma di aspiranti di qualità in giro se ne vedono pochissimi. Per tre ragioni, che tutti sanno anche se non ne vogliono parlare. La prima è di ordine sociale, o meglio professionale. Perfino in un piccolo centro, per non parlare delle metropoli, per svolgere dignitosamente il compito si richiedono competenze eccezionali. Deve averle il Primo cittadino e devono averle i suoi assessori, e tutta la «squadra larga» di supporto. Guardatevi intorno, e domandatevi dov’è l’élite disposta a dare il sangue per questa nobilissima causa. Un lavoro h24, massacrante e senza un giorno di ferie, in cambio di uno stipendio che neanche il manager di una piccola azienda accetterebbe. Senza neanche la soddisfazione di essere autonomi nelle proprie scelte, potersi assumere le responsabilità fino in fondo, e senza interferenze.

La primavera sfiorita

Già, perché qui interviene il secondo ostacolo: il meccanismo istituzionale che dovrebbe favorire il buongoverno si è – per usare un eufemismo – inceppato. La cosiddetta primavera dei sindaci era scoppiata, nei primi anni Novanta, grazie a una semplicissima riforma: l’elezione diretta a doppio turno. Uno scendeva liberamente in campo, presentava il proprio programma, e se c’erano più di due candidati si alleavano al ballottaggio. A chi vinceva, andava tutta la posta. I partiti erano chiamati a condividere le spoglie, ma il primato spettava al sindaco. Oggi, il processo si è invertito. Le decine di liste e listarelle che si contendono un posticino al sole cominciano almeno un anno prima dell’appuntamento con le urne a discutere su chi candidare. Sanno benissimo che ciò che conta è il nome. Ma, proprio per questo, fanno finta di mettersi d’accordo sul programma. Come se fosse un’elezione politica. E via a una caterva di riunioni, riti e salamelecchi e perditempo che nessuno che abbia un lavoro serio potrebbe consentirsi. Cesellando codicilli e paragrafi di un interminabile accordo cui i partitini metterebbero la firma. Salvo che manca quella del Sindaco. L’unico che ci mette la faccia di fronte all’elettorato.

Così, alla fine, delle due l’una. O il candidato sindaco prescelto apparirà come un ostaggio, o si darà alla fuga.

Il sindaco “straniero”

Col che si capisce che all’origine del declino dei sindaci in Italia c’è l’arrembaggio dei partiti. Sempre meno incisivi e visibili sulla scena nazionale, ciò che resta delle nomenclature si è rifugiato negli interstizi amministrativi locali. È diventato questo il principale serbatoio occupazionale del ceto politico italiano. Con un problema sempre più drammatico: il distacco dai settori trainanti del paese. Il tasso di innovazione – tecnologica, ambientale, sociale – con cui oggi, in tutto l’Occidente, si cerca di fare fronte alla crisi richiede energie specializzate di cui le città sono la culla, il laboratorio, il motore. Ma questo humus vitale resta estraneo geneticamente ai partiti. I funzionari e i consiglieri riescono, al più, a provare a intercettare linguaggi e stimoli che non conoscono, cercare di mediarne le istanze. Ma non si tratta solo di un gap, un ritardo di rappresentanza. È una diversità culturale. I partiti cent’anni fa nacquero come avanguardia del progresso. Oggi, non fanno solo fatica ad inseguirlo. Fanno fatica a capirlo.
Per questo appaiono strumentali le formule con cui, a destra come a sinistra, si prova a risolvere il problema cercando un sindaco straniero. Fuori dalle proprie fila, ma allineato. Ma la leadership, così, non funziona. La leadership trae la sua forza dalla discontinuità, dalla rottura. Dal messaggio di cambiamento che, in questa fase storica, è indispensabile per riuscire a fondere innovazione e consenso. Gli unici sindaci che hanno una chance di farcela sono quelli che parleranno ai cittadini al di sopra dei partiti. Non contro. Ma, con chiarezza e coraggio, fuori dai loro ranghi.

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