I 40 anni della Scu/ Una storia infinita (se non cambiamo noi per primi)

I 40 anni della Scu/ Una storia infinita (se non cambiamo noi per primi)
di ​Rosario TORNESELLO
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Domenica 7 Maggio 2023, 16:45 - Ultimo aggiornamento: 8 Maggio, 11:44

La ricorrenza dei quarant’anni di Sacra corona unita – una maledizione, sia chiaro, non una celebrazione – suggerisce un po’ di riflessioni. La persistenza di fenomeni di questo tipo, per quanto il male sia connaturato nell’uomo, per fortuna insieme con non poche virtù, impone analisi che esulano dal contesto giudiziario e repressivo in cui si manifesta l’azione di contrasto. Quarant’anni sono sufficienti e necessari per farsi domande e cercare risposte, perché questa storia criminale attraversa più generazioni e salda un fenomeno a un contesto territoriale e sociale in rapida ed evidente evoluzione. 

La Scu ha cambiato assetto, volto, organizzazione, strategia operativa. Per dirla tutta, non è più neanche la stessa Scu. Del marchio di origine resta solo il valore emblematico e potentemente evocativo: riassume in sé l’idea – variamente strutturata – dell’esistenza di un contesto malavitoso associativo, ramificato e ben introdotto, anche nella politica e nell’economia. Come Nando Dalla Chiesa ha evidenziato su Quotidiano qualche giorno fa, puoi cambiare la forma ma non la sostanza: la mafia resta una modalità di esercizio del potere che si fonda sulla violenza e sull’intimidazione.

Se aggiungiamo la corruzione, comunque intesa e attuata, abbiamo il mosaico completo.

Ecco: quarant’anni. Come spiega Cataldo Motta nell’intervista che pubblichiamo oggi, la mafia è diventata fluida, si fa prossima alle esigenze delle persone e vive la terza generazione di affiliati. E questo è un doppio problema. Le famiglie hanno strutturato una storia interna alle dinamiche parentali, irrobustendo col vincolo di sangue l’appartenenza al sodalizio malavitoso. Non solo: molti dei capi e dei gregari della prima generazione – esclusi quelli ristretti all’ergastolo ostativo – stanno per essere rimessi in libertà, se non già scarcerati. Un fattore che alimenta, da un lato, la pericolosità dei clan e, dall’altro, l’instabilità in contesti illegali o para-legali. Percorsi e processi che presto o tardi sfociano in manifestazioni violente.

Questo il quadro. L’azione di contrasto ha permesso, fin qui, di contenere, disarticolare e ridurre di molto il potenziale della criminalità organizzata. Un risultato straordinario, in lungo e in largo per la regione, se solo si tiene conto del potere acquisito rapidamente dalle associazioni malavitose, almeno da queste parti. La Puglia è diventata in poco tempo – negli anni ‘80 – crocevia per traffici di qualsiasi tipo: droga, armi, sigarette di contrabbando, uomini e donne in fuga dalla disperazione (con corredo di guerre tra clan, morti ammazzati e attentati a raffica). Magistratura e forze dell’ordine, in presa diretta con l’evolversi del pericolo mafioso, hanno permesso con il loro lavoro di consegnare i singoli territori e tutti noi a un destino diverso. Restano situazioni alquanto problematiche in alcune zone di Bari, in segmenti del Salento e in vaste aree del Foggiano, capoluogo dauno incluso. Su questo – e indicativa è la mancata copertura dei posti in magistratura – molto andrebbe ancora fatto.

Ma resta un punto, fondamentale: la mafia è fenomeno sociale, più che umano, e come tale andrebbe trattato e affrontato. Si alimenta sempre più di interessi, disattenzioni e privilegi (e sempre meno di intimidazioni). E tutto questo nelle aree di contiguità, convivenza e connivenza in cui si salda il rapporto tra la criminalità e la cosiddetta società civile. Per fortuna non tutta, e ci mancherebbe. Il ragazzo che acquista marijuana, il politico che cerca voti, l’imprenditore che insegue appalti, il commerciante che vuole un aiuto e via di questo passo. Comportamenti molteplici, convenienze multiformi: sono questi e molti altri i profili che concorrono a creare (socialmente, appunto), alimentare e rafforzare la mafia, che così penetra nella vita quotidiana mutandone i connotati.

La criminalità organizzata non cambia sostanza, vero. Il problema è che cambiamo noi. Ricordiamocelo, prima di ritrovarci di nuovo a parlarne, qui o altrove. Magari tra ulteriori quarant’anni.
 

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