La voglia di eccesso e la banalità del male

di Mons. Vito ANGIULI*
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Giovedì 10 Marzo 2016, 17:33
Sembra inimmaginabile, eppure è vero. Si può uccidere solo “per vedere l’effetto che fa”. Il recente fatto di cronaca che ha visto l’assassinio di Luca Varani da parte di due suoi amici è tutto in questa formula. La confessione è agghiacciante. Ciò che colpisce è l’assenza di qualsiasi movente, la lucida attestazione dell’assoluta gratuità del gesto, la voglia di trasgressione e di eccesso. È abolita così ogni trascendenza, cancellata ogni compassione, messa a tacere ogni pietà. Rimane solo lo sballo effimero generato da una violenza sadica.

Il riferimento al sadismo ritorna nelle parole di un personaggio di un romanzo: “La cultura moderna è un groviglio di sadismo. Ha generato nazismo, comunismo e tutto ciò che è male”. L’interlocutore chiede: “E la scienza?”. Risposta: “Serve gli assassini e giustifica massacri di ogni sorta. Ecco la verità”. In conclusione: “Ciò che definiamo cultura americana o europea in realtà è la cultura del bassofondo. Si basa sul principio della gratificazione immediata. Nonostante tutto il suo linguaggio fiorito, tale cultura riconosce un solo potere: il potere” (I. B. Singer, Ombre sull'Hudson, Longanesi, Milano 2000, pp. 597- 598).

Leggendo queste parole viene da pensare se si tratta solo di espressioni di un romanzo oppure di interpretazioni che danno voce a interrogativi che non trovano risposte adeguate di fronte alla cruda realtà di avvenimenti che accadono sotto i nostri occhi. È troppo facile, infatti, indignarsi per l’omicidio di Luca Varani o per altri delitti compiuti in modo analogo. I due giovani omicidi si meravigliano essi stessi di come abbiano potuto compiere un simile gesto e non sanno darsi nessuna spiegazione. Almeno, questo è ciò che hanno affermato durante l’interrogatorio.

Constatare la “banalità del male” lascia impietriti e senza parole. Ed è difficile articolare discorsi. Qualsiasi parola sembra vuota e di maniera. Di fronte alla morte di un giovane, al tormento di coloro che lo hanno ucciso, al dolore delle famiglie, allo sgomento della società bisognerebbe solo chiudersi nel silenzio e pregare per tutti. Non serve dilungarsi nel proporre sottili spiegazioni psicologiche o avventurarsi in funamboliche analisi di tipo sociologico. Il dolore esige rispetto. Tocca alla giustizia fare il suo corso.

Non si può nemmeno far finta di non vedere che il problema è di natura culturale. Bisogna indignarsi non solo contro chi commette azioni efferate, ma soprattutto contro quella cultura che genera tali comportamenti. Alla base non vi sono solo sbagli personali, ma anche errori di natura culturale. Non si può predicare ai quattro venti che è bello oltrepassare ogni limite e superare ogni argine e poi meravigliarsi delle conseguenze nefaste di queste teorie. Siamo immersi, nella cultura “dell’eccesso facile e gratuito”, del “soddisfacimento di ogni voglia”, del “tutto è possibile”. Chi semina vento raccoglie tempesta, dice il proverbio. Insinuare che è bello trasgredire vuol dire lanciare messaggi ambigui che autorizzano a compiere azioni sconsiderate. Per ridare senso alla vita, bisogna educare ad accettare il limite. Le regole dell’etica personale e sociale non sono un attentato, ma un orientamento all’esercizio della propria libertà.

Non basta solo commuoversi. E non è nemmeno giusto ergersi a giudici. Ciò che veramente serve è “purificare” la cultura da ogni forma di “perversione” dei sentimenti, delle parole e dei comportamenti. E questo è un compito che compete a tutti e dal quale nessuno deve sottrarsi.

*Vescovo di Ugento-S. Maria di Leuca
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