Riflessioni/Le riforme non più rinviabili

Riflessioni/Le riforme non più rinviabili
di Giorgio de GIUSEPPE
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Sabato 8 Maggio 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 19:29

Accade che nei momenti solenni della storia di un popolo vengano pronunciate frasi le quali, poi, seguiranno un personaggio e ne spiegheranno il ruolo avuto nelle vicende del paese. È accaduto a De Gasperi quando si rivolse ai vincitori nella seconda guerra mondiale nel memorabile discorso al palazzo del Lussemburgo a Parigi. 

Disse: “So che tutto in quest’aula è contro di me, tranne la vostra personale cortesia” e, da qual momento, cominciò a tessere la tela che avrebbe portato l’Italia alla ricostruzione, alla riforma del sistema pubblico, al ritorno nella comunità internazionale. Forse anche Mario Draghi, economista universalmente apprezzato ma impacciato oratore nelle aule parlamentari, sarà ricordato per la frase con la quale ha concluso di fronte ai deputati ed ai senatori l’illustrazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza: “Sono certo che l’onestà, l’intelligenza, il gusto del futuro prevarranno sulla corruzione, la stupidità, gli interessi costituiti”.


Ormai dovremmo averlo capito tutti: non ci stiamo giocando una partita, ma la partita per sopravvivere. La pandemia ci ha spinti nel baratro, ma sull’orlo eravamo già da anni se tutti gli altri paesi europei registravano forti segni positivi dei vari indicatori statistici mentre i nostri tendevano sempre più al basso. Alcuni sono cresciuti del 40%, noi soltanto del 5%. Ovviamente, tutto si è aggravato con la pandemia da covid-19. Nel frattempo, anche per merito del governo italiano, è venuta un’inaspettata e rivoluzionaria decisione: per aiutare i paesi del vecchio continente, in particolare il nostro, a superare la crisi, l’Unione Europea ha deciso di elargire una pioggia di miliardi, alcuni regalati ed altri da restituire a tassi irrisori. Unica condizione è usarli bene ed in tempi definiti. Significa, cioè, non soltanto realizzare opere necessarie per lo sviluppo, ma anche adeguare amministrazione pubblica, ordinamenti giudiziari, sistema fiscale alle esigenze di una società moderna, aperta alle nuove tecnologie, impegnata nella difesa dell’ambiente, capace di confrontarsi con la concorrenza internazionale. Superata l’euforia procurata dall’inattesa pioggia di miliardi, dobbiamo ora corrispondere ai giudizi che la Comunità Europea esprimerà sulle nostre decisioni e sulle capacità di spesa. Non si tratta di ingerenza: se fallissimo, il danno non sarebbe soltanto nostro, ma anche dell’Unione Europea che vedrebbe sciupato un grande patrimonio e, soprattutto, preclusa la prospettiva politica dell’unificazione in tempi rapidi.
Dovremmo saperlo tutti: dietro le parole di Draghi, ci sono decennali inerzie, incapacità, pressapochismi, calcoli sbagliati con i quali l’Italia - che pure era riuscita a collocarsi nel dopoguerra al quinto posto tra le potenze industriali ed aveva conquistato l’Oscar per la sua moneta - progressivamente ha dilapidato un patrimonio esaltante per ridursi alla situazione che l’ha collocata agli ultimi posti: dal numero delle nascite, all’efficienza della pubblica amministrazione, alla produzione, alla giustizia, al fisco. Sarà possibile risalire la cima? Certamente sì, ma bisogna che tutti, veramente tutti, ricordino che onestà, intelligenza, gusto del futuro - in particolare in chi ha responsabilità pubbliche – devono prevalere su corruzione, stupidità, interessi costituiti. Oggi, subito, non domani. Il futuro è, infatti, già cominciato. Quando da Bruxelles arriverà il via al nostro piano (un via sofferto che solo l’autorevolezza di Draghi ha propiziato dopo la telefonata con la presidente della Commissione Ursula Von der Leyen), bisognerà in poco tempo attuare il piano e, contemporaneamente, riformare quanto è ormai sclerotizzato in settori vitali del nostro Paese.

Tre riferimenti sono utili per comprendere l’enormità di cosa ci attende. Di riforma della pubblica amministrazione se ne parla dal 1974, quando con il IV governo Moro fu affidato a Francesco Cossiga l’appena istituito il ministero per la riforma della burocrazia. Da allora, una vera riforma non è stata mai realizzata, perché camuffata, di volta in volta, dietro accordi sindacali di limitata portata. Per il fisco la radicale riforma risale al ministro Vanoni che la realizzò nel 1953. Poi abbiamo avuto modesti aggiustamenti spesso in rapporto a sollecitazioni corporative. Infine, c’è la giustizia. Difficile indicare da dove iniziare, perché non si tratta soltanto di abbreviare i tempi dei processi, ma di revisionare l’intera struttura da tempo sottoposta a periodiche scosse telluriche, che hanno scosso la fiducia dei cittadini. Significherà pure qualcosa il fatto che ormai da mesi il libro scritto dal protagonista di prevaricazioni sia in cima alle vendite!


Cosa fare per uscire da una situazione così aggrovigliata e complicata? Bisogna che il governo, sede operativa della gabina di regia del Piano, sia lasciato lavorare sui versanti delle riforme e delle opere pubbliche e che i partiti ed i gruppi parlamentari non ostacolino, ma aiutino l’esecutivo nell’opera ciclopica che lo attende. La loro azione non deve essere rivolta a modesti obiettivi per soddisfare richieste settoriali, ma a soluzioni decisive per la impresa e lo sviluppo dell’intera comunità nazionale.
I partiti, in particolare di quelli che hanno votato a favore dell’esecutivo Draghi, hanno campi vastissimi su cui impegnarsi. Ne indico tre, tra tanti altri: la legge elettorale, i regolamenti parlamentari e la riforma della seconda parte della costituzione. Contrariamente a quanto concordato soltanto pochi mesi fa, ora sembrerebbe tornato l’interesse per il sistema elettorale maggioritario. Sono convinto sia un orientamento opportuno vuoi perché va decisamente superato il nostro primato di 66 governi in 75 anni di certo favorito dal sistema proporzionale, vuoi perché non si possono avere insieme due sistemi elettorali opposti, uno per le elezioni nazionali e l’altro per le elezioni regionali e locali. Simile discrasia costituisce ed impedisce ai partiti di avere una coerente linea politica e di organizzarsi sul territorio. Occorre, poi, non perdere tempo per una revisione dei regolamenti parlamentari così da scoraggiare i cambi di casacca ed armonizzare il sistema bicamerale perfetto all’esigenza della rapidità legislativa e dei controlli pertinenti. C’è, infine, insoluto da mezzo secolo il nodo della riforma della parte ordinamentale della Costituzione. Se non si hanno umiltà e coraggio per proporre l’elezione di un’assemblea costituente preferendo continuare nella tecnica del carciofo, almeno si tenti di utilizzare il tempo residuo della legislatura per introdurre la sfiducia costruttiva che impedisce di sfiduciare l’esecutivo se non sia già costituita una diversa maggioranza parlamentare. Ci sono questioni che affrontate subito. Senza la loro soluzione, qualunque partito o coalizione vincesse le prossime elezioni, non potrà governare, esattamente come altri vincitori non hanno potuto governare in passato. Se i partiti ed i gruppi parlamentari, invece di litigare su modeste vicende clientelari, sapranno creare le condizioni per la stabilità dei governi futuri, faranno cosa utile a se stessi e, soprattutto, al paese.

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