Renzi gioca la carta Pisapia per regolare i conti con la sinistra

Giuliano Pisapia e Matteo Renzi
Giuliano Pisapia e Matteo Renzi
di Mauro CALISE
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Giovedì 5 Ottobre 2017, 17:56 - Ultimo aggiornamento: 17:58
Meglio provare a farci il callo. O, se preferite, a turarvi il naso. Lo spettacolo del centrosinistra che si lacera senza ritegno andrà avanti per i prossimi mesi. Fino alle elezioni, e anche dopo. È la proporzionale, bellezza. Il cui primo corollario recita che l’avversario più pericoloso è il partito che ti somiglia di più. Altro che fratelli-coltelli, che almeno si pugnalavano a porte chiuse. Qui siamo ai cugini assassini, agli omicidi - fortunatamente, politici - messi in scena tra parenti e affini nel modo più plateale possibile. Con l’unico obiettivo di cercare di racimolare qualche voto. Serrando le proprie fila e rivolgendosi al proprio recinto. E, soprattutto, alzando steccati contro i competitor del recinto accanto.

In questo, per una volta, non c’entrano i rancori personali. Chi pensa che la spaccatura tra bersaniani e renziani riguardi una mancanza di feeling e i diversi stili caratteriali, continua a confondere la logica che muove gli uomini di potere con quella che affligge noi, poveri comuni mortali. Il potere non è un sentimento. È una moneta di scambio. MdP non ha fatto la scissione perché Renzi gli stava antipatico. Ma, molto più prosaicamente, perché Renzi gli avrebbe dato pochissimi seggi, forse addirittura nessuno. E loro, giustamente, hanno bisogno di seggi - in Parlamento e nelle varie assemblee elettive locali - per continuare a fare l’unico mestiere che conoscono, quello dei professionisti politici. Se fosse sopravvissuto l’Italicum, con la sua logica maggioritaria, sarebbero stati costretti a far buon viso a cattivo gioco. Ma con il Consultellum sono stati – finalmente – in libera uscita.

Ora, però, si tratta di far fruttare questa libertà. Ricavandosi uno spazio elettorale il più ampio possibile. Per questo apparirebbe bislacco se MdP continuasse a fare, fino a un giorno prima del voto, lo zerbino dell’esecutivo, che porta il nome di Gentiloni ma è una diretta filiazione di Renzi. Quindi, devono prendere le distanze. Utilizzando le proprie truppe in Senato per guadagnarsi visibilità. Certo, in questo trambusto, bisogna anche stare attenti a non staccare la spina. A garantirsi, cioè, che il governo non capitomboli, innescando una crisi che a Mdp non converrebbe per niente. Visto che sono impegnatissimi a girare in lungo e in largo il paese per cercare di raccattare consensi, strappandoli, porta a porta, al Pd. Per – loro – fortuna, a salvare – noi e loro – dalla crisi, scatterà il soccorso destro.

In questo caos - ancora piccolino, ma che da caosino potrebbe trasformarsi rapidamente in gran casino – diventa sempre più complicata la partita che dovrebbe giocare Pisapia. Fino ad oggi, l’ex-sindaco ha cercato, in tutti i modi, di fare il pontiere. Ma a questo punto dovrebbe trasformarsi immediatamente in pompiere, con il rischio di non riuscire a spegnere l’incendio e finirci bruciato dentro. L’alternativa è rompere gli indugi, e provare a mettersi in proprio. Alla testa di uno schieramento di sinistra fuori e contro MdP. Non si sa ancora se ne abbia la tempra. E ancor meno se riuscirebbe a raccogliere un gruzzolo di voti sufficiente a superare gli sbarramenti.

Molto dipenderà da Renzi. Se - e sottolineo se - passasse la nuova legge elettorale, il segretario Pd potrebbe accogliere ed appoggiare una pattuglia di pisapiani in alcuni collegi, sacrificando i suoi democratici. Il tipo di operazione che D’Alema fece con Dini nel ’96, per aprirsi uno sfondamento verso il centro moderato. Una trovata geniale, soprattutto perché strappò una fetta di ceto politico all’abbraccio con Berlusconi. In questo caso, l’operazione avverrebbe sul fianco sinistro. In termini di consensi sarebbe, probabilmente, una mossa a somma zero. Nel senso che, al punto in cui siamo, difficilmente Pisapia riuscirebbe a coagulare un seguito importante. Ma, sul piano simbolico, potrebbe avere una portata strategica. Compensando, almeno nell’immediato, l’immagine di un Pd schiacciato sugli accordi con il centrodestra. Quelli attuali con i verdiniani indispensabili per salvare la legislatura. E quelli di cui tanto si parla che occorrerà provare a fare domani, direttamente con Berlusconi, nel tentativo alquanto disperato di rabberciare una maggioranza di governo.

Certo, messa in questi termini, è una partita che difficilmente appassionerà l’opinione pubblica. Ma possiamo sempre consolarci pensando che Minniti non manderà la polizia a fermare il referendum nel lombardo-veneto. E che l’Italia non corre il rischio di venirsene a pezzi. Visto che è sempre stato un paese - politicamente - a pezzettini.
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