Le strane "primarie contro" di Taranto

di Giovanni CAMARDA
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Venerdì 10 Dicembre 2021, 05:00

l tema del giorno - della settimana, del mese - a Taranto è quello delle primarie. Se ne parla da prima che il sindaco Rinaldo Melucci fosse dimissionato da un’intesa tra dieci consiglieri dell’opposizione e sette della sua stessa maggioranza, alcuni dei quali gratificati da incarichi in giunta o nelle partecipate, persino nelle stesse ore in cui si adoperavano per consegnare la città ad un commissario di nomina prefettizia. Cose che succedono.
Il consigliere Piero Bitetti per primo fece balenare l’ipotesi de quo in un’intervista pubblicata da questo giornale il 26 ottobre scorso, con Melucci ancora in carica. All’epoca si chiedeva, Bitetti, se il Pd avrebbe potuto comunque valutare questa eventualità nonostante i dem avessero già ufficializzato la scelta di ricandidare il primo cittadino “in ragione dell’ottimo lavoro svolto”. Punti di vista, ovviamente, non necessariamente condivisibili. Però era una posizione chiara e netta.
Il dibattito è stato rinfocolato negli ultimi giorni da tre interventi, in rapida successione, di Massimiliano Stellato, Walter Musillo e, da ultimo, Gianni Liviano. I primi due sono i principali artefici della caduta di Melucci; il terzo, ex assessore regionale con Emiliano, ha partecipato negli ultimi tempi al cosiddetto tavolo dei Federati (cioè degli altri due, soprattutto, visto che Bitetti nel frattempo si è posizionato in un cono d’ombra). Adesso i tre - in accordo o meno, questo conta relativamente - chiedono la stessa cosa al Pd: facciamo le primarie. Liviano va anche oltre, per la verità, di fatto arrivando a bollarle come inutili, se è vero che scrive: “Melucci è molto apprezzato e non avrebbe probabilmente alcun problema a vincerle”. Molto apprezzato ma evidentemente non da chi cerca di metterne in discussione la ricandidatura.
Posizione, tuttavia, assolutamente legittima e peraltro documentata, altrimenti sette dei suoi (di Melucci) non lo avrebbero disarcionato a sei mesi dal voto. Con un intento scoperto: togliergli la possibilità di arrivare in carrozza alle elezioni, magari magnificando ogni giorno i progetti della sua amministrazione. Quindi, quelle dimissioni erano - fisiologicamente - un segnale di aperta ostilità verso il sindaco, come amministratore e come persona, considerati gli intrecci umani, noti e meno noti, dei protagonisti.
È in questo contesto che vanno calibrate le valutazioni sulle primarie in salsa tarantina, tali da godere di una peculiarità particolare: nascerebbero non dalla volontà di mettere insieme, condividere, unire le forze e poi sposare un percorso comune ma proprio dal suo esatto contrario, da una spaccatura clamorosa, da divisioni laceranti che hanno portato alla fine di un’esperienza amministrativa sulla quale si vuole a tutti i costi mettere una pietra tombale. 
E tuttavia proprio i responsabili, nella forma e nella sostanza, di un simile epilogo chiedono ora a chi da quelle scelte è stato obiettivamente penalizzato di rimettere in discussione un percorso già delineato. È qui che, palesemente, s’inceppa la richiesta.
Perché se da un verso è del tutto plausibile che si possa chiedere il ricorso ad uno strumento di piena democrazia, dall’altro è evidente che la richiesta va indirizzata nel solco di una coerenza che in questo caso non si ravvisa. Non ci potrebbero mai essere le condizioni di agibilità per mettere attorno allo stesso tavolo soggetti oggi animati solo da rancori reciproci. È proprio che un qualsivoglia rapporto sereno, corretto, proficuo tra Melucci, il Pd, Articolo Uno da una parte e i Federati dall’altra è ragionevolmente inimmaginabile. Troppe liti, troppi contrasti, troppi dispetti (ancora freschissimi) per ipotizzare di fare tabula rasa e accordarsi per una sfida “pulita”, basata sulla fiducia e sull’implicito impegno a sostenere successivamente il vincitore del challenge. Dopo tutto il veleno sparso, questo sarebbe un film di fantascienza, ma di qualità scadente: c’è anche, in fondo, una questione di rispetto per se stessi, di dignità.
Sono state fatte delle scelte, adesso bisogna accettarne le conseguenze. Una, su tutte: ognuno vada per la propria strada, con serietà. Il Pd e Melucci da una parte, con chi ci vorrà stare; Musillo, Stellato e il loro tavolo dall’altra, cercando magari altrove sponde e affinità che nel campo a sostegno dell’ex sindaco oggettivamente non potranno più essere trovate. Ed è abbastanza strano che i promotori delle “primarie contro” non se ne rendano conto, per esempio quando di fatto chiedono al Pd di perdere credibilità rimangiandosi la ricandidatura di Melucci pur di accontentare chi l’ha mandato a casa. 
Con questi presupposti non ci potrà mai essere unità nel centrosinistra (anche se si fa fatica a definirlo così, alla luce della contaminazione portata dal “civismo”), a tutto vantaggio dell’altro fronte, al momento apparentemente sonnacchioso ma pronto ad approfittare eventualmente della diaspora in atto nel recinto opposto.

Poi la storia e i cittadini con il voto chiariranno ruoli, meriti e responsabilità. O colpe.

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