Populismo, “popolismo” e l'opacità del M5S

di Stefano CRISTANTE
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Sabato 23 Gennaio 2016, 10:13 - Ultimo aggiornamento: 28 Gennaio, 15:22
Si può guardare al populismo in molti modi, ma forse le prospettive più interessanti sono due: dall’alto verso il basso (top-down) e dal basso verso l’alto (bottom-up). Top-down è il populismo di chi governa: liberati dalle gioie e dai dolori del partito solido novecentesco, i leader al potere manifestano una propensione al comando sempre più spiccata (decisionismo), comunicano direttamente con i cittadini attraverso i mezzi generalisti e i social media (disintermediazione), commissionano sondaggi quotidiani sui temi a maggior rischio di frizione sociale (sondocrazia), colgono e assecondano gli umori più evidenti dell’opinione pubblica (blandire il popolo), propongono se stessi come modelli antropologici vincenti (ego-crazia) e manovrano con disinvoltura l’approvazione delle politiche di governo attraverso cangianti apparentamenti parlamentari (trasformismo). In questo senso il “populismo dall’alto” ha sostanzialmente bisogno di liberarsi dalle lungaggini democratiche e di realizzarsi attraverso una prassi sempre più veloce.

Una prassi sempre più veloce perché quanto più è corta la catena del comando (fenomenologia dei “cerchi magici) tanto più la decisione può essere rapida e investire tanti campi d’azione simultanei (onnipresenza del leader), spiegandoli con metafore e indicatori statistici alla portata di tutti (semplificazione comunicativa del linguaggio politico).
Diversamente, il populismo dal basso è contraddistinto da un rifiuto delle classi politiche dei partiti tradizionali (“Que se vayan todos”, come si urlava nelle piazze spagnole, cioè “Tutti a casa”), da una valorizzazione della partecipazione politica individuale (“Ognuno vale uno”), dalla credenza che un governo migliore verrà dai non-professionisti della politica (politica come servizio e come civismo), dalla rivendicazione che dal basso vengono legalità e trasparenza mentre dall’alto giungono copiosi i privilegi e le disuguaglianze. Segue poi una certa insistenza sulla comunicazione auto-diretta (disintermediazione dal basso, principalmente attraverso social network), una propensione alla sostenibilità (rielaborazione dell’ecologismo), un alterno rapporto con lo “spirito nazionale”. Potremmo sostituire la “u” latineggiante di populismo con un’italica “o” e definire questa tendenza “popolismo”: è il concetto di “popolo” che aleggia nelle manifestazioni dei lepenisti e dei leghisti italiani, indirizzato verso l’identificazione della grande nazione francese che si vorrebbe far risorgere oppure verso la retorica del Nord Italia che non accetta immigrati. “Popolista” è però anche il Movimento 5Stelle, che pure non è nazionalista né reazionario. Popolista è infatti la sua esaltazione della democrazia diretta, che viene esercitata in ciò che resta dei meetup e attraverso votazioni on line sulla piattaforma digitale e dibattiti su gruppi chiusi di Facebook.
D’altronde è anche vero che il Front National e la Lega Nord sono strutture partitiche organizzate secondo tradizione, mentre il “popolismo” modifica notevolmente la struttura del partito gerarchico, facendosi più simile a un movimento. È il caso dei 5Stelle, ma anche di Podemos. Il populismo della Le Pen e di Salvini si limita in realtà a lanciare nell’arena politica una proposta politica tradizionale, protezionista (anti-immigrati) e anti-europea, quindi nazionalistica. Marine Le Pen e Matteo Salvini rappresentano semmai esempi di populismo dall’alto, con la differenza che si tratta di un populismo “top-down” vissuto dall’opposizione. Quando questi partiti vanno al governo – come in Ungheria o in Polonia – le loro politiche dismettono l’eterogeneità delle proposte elettorali e diventano indistinguibili da politiche nazionaliste e fasciste.
Ecco perché credo che la categoria di populismo “dal basso” (popolismo) possa attagliarsi esclusivamente ai movimenti come 5Stelle in Italia, Podemos e Ciudadanos in Spagna. Per certi aspetti anche Syriza, il rassemblement di Tsipras, ha caratteristiche assimilabili, ma la sua forma è una federazione di partiti e movimenti riconducibili alla sinistra, e dunque meno trasversali delle formazioni italiane e spagnole.
I 5Stelle hanno notevoli chance di giocare un ruolo fondamentale nella politica italiana, e non necessariamente per una breve stagione. Può l’istanza “popolista” portarli nella stanza delle decisioni con il consenso degli elettori italiani? Qui c’è un nodo intricato. Per portare le istanze “dal basso” alla notorietà e alla competitività elettorale c’è voluto un capo carismatico. Tracimante come Grillo, convincente come Pablo Iglesias di Podemos, giovane e affidabile come Albert Rivera di Ciudadanos. Il popolismo ha il suo limite nel concetto del leader, che resta centrale anche in questo nuovo tipo di formazione. Nel caso italiano l’ispiratore e portavoce (Grillo) e l’esperto di comunicazione politica (Casaleggio) sembravano disposti a ridurre la propria visibilità e la propria presenza costante nelle decisioni del movimento. In questi giorni i 5Stelle sono in difficoltà per la gestione dei fatti del comune di Quarto, un paese dove la camorra detta legge e dove l’altro ieri si è dimessa la sindaca, che era stata espulsa qualche giorno fa dai 5 Stelle. La reazione disordinata del Direttorio (Di Maio, Fico e Di Battista) non sembra aliena dai suggerimenti di Grillo e Casaleggio. A distanza di due anni dalla clamorosa affermazione alle elezioni politiche nazionali, uno statuto dei 5 Stelle non esiste e la proprietà del marchio resta nelle sole mani di Grillo. È difficile credere che una tale opacità non produca situazioni pasticciate come quella di Quarto, che si riversano istantaneamente nel consenso negativo al Movimento. Perché? Perché l’opacità della presa di decisione e la minaccia della gogna delle votazioni elettroniche inibiscono il corretto funzionamento democratico del movimento. Il populismo dal basso (il “popolismo”) ha carte importanti da giocarsi in molti contesti, e nel corso degli ultimi anni è la sola cosa nuova che abbia prodotto la politica continentale. Il suo nemico è però il populismo dall’alto, che prende spesso le forme di un nemico interno. A rigor di logica, il “popolismo” dovrebbe basarsi sul fatto che le mostruose diseguaglianze della nostra epoca vanno sanate. Creare sistemi di decisione post-democratici va in direzione opposta e riporta inevitabilmente le forme nuove a omologarsi con le tante varianti del discorso politicamente egocentrico.
Stefano Cristante