Smaltita in larga parte (mancano i ballottaggi) la “sbornia” dei dati elettorali, appare giunto il momento di rioccuparsi di altri numeri (socioeconomici) riguardanti più da vicino i bisogni imminenti della gente, prendendo spunto proprio dalle recenti consultazioni; infatti, mentre c’è da tenere ben presente che la politica e l’economia non hanno spesso gli stessi tempi di (re)azione, non deve essere posta in secondo piano la circostanza che sono state elezioni localmente circoscritte e tutta la politica si è spesa molto nel ribadire l’importanza del territorio, anche se non sempre è sembrata attenta nel considerarne le specifiche esigenze con la dovuta flessibilità. Stiamo riferendoci ai numerosi progetti che, attraverso un ampio “ventaglio esecutivo”, devono permettere al Paese di crescere con continuità e a lungo, ponendo però attenzione al fatto che un dato nazionale è la somma di quelli delle diverse aree del Paese.
Prendiamo, ad esempio, il dato del Pil che le ultime autorevoli stime prevedono in crescita del 6% entro l’anno e allora ci chiediamo: come sta diffondendosi la crescita tra le variegate articolazioni territoriali e settoriali? Appare evidente che ci saranno delle differenze nella destinazione dei diversi provvedimenti, suggerendo, quindi, la massima attenzione nel conciliare le esigenze dei singoli settori con quelle dei determinati territori al fine di ottenere il miglior risultato aggregato. Vediamo come: l’Istat ha appena diffuso il dato “revisionato” della variazione del Pil nel secondo trimestre di quest’anno pari a più 2,7%: ebbene la “spinta” a tale crescita derivante dagli investimenti fissi e dall’export è stata rispettivamente dello 0,5% e dello 0,3%, mentre il contributo dei consumi è stato pari al 2,6%. Se ne deduce che il rinforzo congiunto di investimenti ed export rappresenta meno del 30% dell’aumento complessivo, mentre prima della pandemia andava oltre il 40%.
Dunque, sono proprio questi due aggregati, certamente non accessori, a dover essere sollecitati con provvedimenti adeguati e qui il Sud può e deve svolgere un ruolo prioritario nei nodi fondamentali sia istituzionali, sia imprenditoriali e, più in generale, della società civile, concentrandosi su proposte concrete di rafforzamento, perché lo spazio di crescita è ampio. Infatti, nell’ultimo quinquennio prima della pandemia, gli investimenti fissi nel Sud – che all’inizio esprimevano poco meno del 25% del totale (circa 70 miliardi su 300, fonte Istat) – si sono progressivamente ridotti attestandosi su valori intorno al 20% (64 miliardi su 320 circa), avvantaggiando così le altre aree del Paese, che, nel frattempo, hanno visto aumentare la loro quota di investimenti.
Ancora più articolata appare la situazione dell’export: nei primi sei mesi del presente anno, le esportazioni italiane ammontano a circa 250 miliardi (fonte Istat), con un aumento del 25% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno; il Sud, invece, ha visto incrementare le proprie esportazioni meno del 15% (da 22 miliardi a 25) e oggi rappresentano il 10% del totale (contribuiva mediamente per il 12% nel quinquennio 2015-19).