Gli appetiti delle mafie sul Pnrr e le soluzioni

di Andrea APOLLONIO*
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Giovedì 9 Dicembre 2021, 05:00

La gravissima crisi economica in cui il Paese è sprofondato nel marzo 2020, dettata dall’emergenza sanitaria per la diffusione pandemica del virus Covid-19, sembra ormai alle spalle, almeno a voler considerare i dati confortanti sulla crescita del Pil per l’anno 2021 e la capillare diffusione del rimedio vaccinale. Eppure la pandemia ha innescato cambiamenti attesi e inattesi, ha accelerato trend in ogni campo; ivi compreso quello dei fenomeni criminali. 

Come noto, lo Stato ha cercato di limitare i devastanti riflessi economici su di una popolazione alle prese con un drammatico distanziamento sociale con una politica di ausili economici per la collettività, e di ristori confluiti nel mondo del lavoro; ma per i suoi limiti funzionali, non è riuscito a fornire le adeguate prestazioni assistenziali richieste a gran voce dai cittadini e dagli operatori commerciali, che nel pieno della pandemia versavano in obiettiva difficoltà. È in questo contesto che, come emerge dai più recenti risultati investigativi indicati nei report annuali degli organi del contrasto, le mafie sono riuscite ad avvantaggiarsi, sostituendosi allo Stato sul piano socio-assistenziale: venendo incontro alla gente comune con piccoli aiuti in denaro (talvolta riuscendo a gestire ed elargire denari pubblici attraverso amministratori collusi) e facendo leva sulle fragilità sociali, con l’offerta di lavori utili alla filiera mafiosa (es. nello spaccio di droga); oppure venendo incontro agli imprenditori in stato di bisogno, mettendo a disposizione il loro denaro “sporco”. Così facendo, le cosche in questi due anni di pandemia hanno raggiunto un triplice obiettivo: fidelizzare il comune cittadino e l’operatore economico; speculare sui prestiti concessi fino a soggiogare il debitore, anche rilevando l’impresa beneficiata; riciclare capitali illeciti immettendoli in legittimi canali di spesa.
Ma c’è dell’altro: in un momento di asfissia economica, con il contestuale allargamento delle maglie dei finanziamenti statali ed europei, le mafie (che per loro stessa natura dispongono di ingenti risorse conseguite in modo illecito ed anticoncorrenziale) hanno avuto la possibilità non soltanto di aiutare, ma anche di farsi impresa, sovvertendo per tale via tutti gli equilibri del mercato: approfittando appunto della maggiore propensione degli enti pubblici a finanziare, finanche a fondo perduto. La storia delle mafie ci insegna che nessuno meglio dei mafiosi-imprenditori riesce a muoversi tra le normative di stimolo dell’economia, spesso lacunose e incoerenti, divenendo costoro i primi destinatari delle misure. 
A titolo esemplificativo: emergono oggi evidenze criminologiche che confermano il tentativo (spesso andato a buon fine) da parte delle mafie di inserimento nei settori sanitari maggiormente coinvolti dall’emergenza pandemica, grazie alle semplificazioni delle procedure di gara stabilite nel 2020 (si pensi agli appalti per forniture dei presidi ospedalieri, da implementare nel giro di poche settimane). L’infiltrazione nel tessuto economico dei mafiosi imprenditori e dei loro capitali illeciti è stata silenziosa, ma continua e costante, ed ha aiutato le cosche a riciclare l’ampia riserva di denaro sporco generato dalle attività delittuose dell’associazione. 
La pandemia, a ben vedere, è stata un’occasione di incremento del potere economico-mafioso. Non è possibile parlare di “errori”, tali da aver determinato questo infausto risultato; piuttosto, si evince un approccio superficiale alle misure di crescita, sotto l’aspetto legalitario, che non tiene conto dei risultati acquisiti in decenni di rigoroso contrasto al fenomeno - come diceva Falcone, le mafie sono sì fenomeni umani, ma sopratutto economici. Può dirsi che da parte dei decisori pubblici, almeno fin qui, è stata compiuta la leggerezza di avere sottovalutato il rischio che al “welfare state” potesse subentrare il “welfare mafioso di prossimità”, ovvero quel sostegno attivo alle famiglie e agli esercenti commerciali in cambio di connivenza, sudditanza, omertà e - quel che è peggio - rassegnazione; e il rischio, ancor più sottovalutato, che le misure straordinarie di stimolo dell’economia potessero avvantaggiare proprio le imprese mafiose. 
Ancora si fronteggiano da un lato l’esigenza di garantire ossigeno e sostegno finanziario alle imprese e al sistema economico in genere, dall’altro la necessità di snellire le procedure di gara per agevolare gli investimenti e l’erogazione di aiuti e sussidi. Ma questi obiettivi non possono andare a discapito - come fin qui accaduto - delle verifiche sugli effettivi utilizzi e sugli effettivi beneficiari dei denari pubblici; i presìdi di legalità nelle procedure di affidamento di appalti o di concessione di benefici che interessano le mafie dai colletti bianchi - che mediano tra poteri pubblici e privati, che aiutano e si fanno impresa con i denari dello Stato - dovrebbero essere implementati, non depotenziati.
In ogni caso, si è aperta oggi una nuova stagione.

Ci muoviamo in un orizzonte temporale dominato dal “Recovery Fund”, il fondo per la ripresa che l’Unione europea nel luglio 2020 ha messo sul piatto per rilanciare le economie travolte dalla crisi del Covid-19. La concreta gestione delle risorse stabilite nell’ormai noto Pnrr, piano governativo di ripartizione dei fondi del “Recovery”, è un’opportunità, tanto per la ripresa del Paese ed il superamento delle sue lacune strutturali, tanto per i propositi d’arricchimento delle mafie: dobbiamo esserne consapevoli. Nelle prossime settimane l’Italia sarà destinataria di questi fondi: e ci si chiede se, con uno sguardo a quanto accaduto in questi due anni, sia possibile fare in modo che la più poderosa immissione di liquidità degli ultimi settant’anni nel sistema economico, con investimenti programmati dalle pubbliche amministrazioni di inedita portata, non conduca ad ulteriori situazioni di vantaggio per le mafie imprenditrici. Sarebbe un imperdonabile scacco, non solo sul piano economico, ma anche sul piano sociale e della tenuta democratica del Paese.

*magistrato

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