Il nostro tempo, aperto al futuro solo se ha un passato

di Antonio ERRICO
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Martedì 15 Ottobre 2019, 18:01 - Ultimo aggiornamento: 18:02
Si dice che sia necessario, che sia indispensabile guardare sempre avanti, ed è vero. L’esistere si realizza nel vedersi sempre oltre il tempo in cui si è. I progetti si fanno guardando avanti, scrutando gli orizzonti, immaginando – fantasticando anche – quello che sarà, il modo in cui sarà il tempo a venire, il modo in cui saremo nel tempo a venire. Avanti è il luogo del desiderio, della promessa, del richiamo affascinante, seducente. Avanti è il tempo da esplorare, da conquistare, istante per istante.

Però, è inevitabile guardare anche indietro. Perché indietro è il luogo in cui si è realizzato quello che abbiamo, in cui è maturato il nostro essere come siamo. Indietro è la casa del padre, della madre. Quindi il luogo della storia. Indietro è il luogo in cui si è compreso quale fosse la strada da fare per arrivare al punto in cui si è arrivati, forse anche quale sia la strada da fare se si vuole ritornare al punto da cui si è partiti: perché talvolta accade che si voglia ritornare. Indietro è il tempo del racconto profondo e della parola essenziale, dell’entusiasmo e del sogno ad occhi chiusi e aperti. Forse indietro è anche il tempo della nostalgia, che però è ricompensata da una, come dire?, da una specie di soddisfazione per quello che si è riusciti a fare. Per l’altro, per quello che non si è riusciti a fare, non ci può essere nessuna nostalgia. C’è rammarico oppure indifferenza. Si dice: poteva andare diversamente da come è andata. Oppure si dice: è andata così. Basta.

Poi bisogna sapersi guardare anche intorno, nel luogo in cui si vive veramente, quel luogo a volte confuso, caotico, che sembra sconnesso, ambiguo, malridotto, che però è il luogo della concretezza, quello in cui accadono le cose con le quali ci si deve, volenti o nolenti, confrontare, il luogo che pretende il nostro impegno, il nostro dovere di umanità. Intorno è il tempo deciso da noi. Se è un tempo chiaro o un tempo scuro dipende soltanto da noi. Se è un tempo bello o un brutto tempo, un tempo di benessere o di malessere, un tempo di verità o di menzogna, dipende sempre da noi, da quanto noi si riesca a farlo essere chiaro o scuro, vero o falso, bello o brutto.

Intorno è il tempo dell’osservazione e dell’analisi. E’ un ponte gettato fra un passato e un futuro.
Allora, forse si può dire che non basta guardare sempre e solo avanti. La storia e l’analisi sono indispensabili per poter scegliere con consapevolezza la strada che conduce al futuro.

Senza questa consapevolezza si corre il rischio del disorientamento. Forse anche della dispersione. Perché il futuro è un luogo e un tempo dell’incertezza. E’ stato sempre così. In questo tempo lo è di più. L’incertezza naturale si è fatta più complessa, complicata.

Il futuro è il tempo al quale rivolgiamo costantemente il nostro pensiero eppure è l’unico tempo che non ci appartiene. Se il passato ci appartiene totalmente e il presente ci appartiene nei suoi rapidissimi passaggi attraverso i quali si trasforma in passato, il futuro è un tempo estraneo, un luogo sconosciuto, che a volte richiama e a volte fa paura. E’ soltanto una condizione immaginaria, una figurazione, la speranza di una possibilità di cui però non possiamo fare a meno. Infatti non facciamo altro che proiettarci continuamente verso quella condizione immaginaria, quella figurazione, quella speranza. In ogni istante pensiamo a quello che faremo, che vorremmo fare nell’istante successivo. In ogni istante abbiamo una visione di futuro. Osserviamo noi stessi in un altro luogo o nello stesso luogo modificato; osserviamo noi stessi in un tempo che ancora non è venuto; ci vediamo esistere in quell’altro luogo, in quel tempo non ancora venuto.

Però, questa visione del futuro ha sempre una relazione sia con quello che stiamo facendo, sia con quello che abbiamo fatto. Una visione del futuro che in qualche modo non si fondi, che attraverso qualche filamento di esistenza non sia collegata con la memoria e con quello che è, forse non esiste.

Il guardarsi indietro, il guardarsi intorno, è un modo per attribuire una concretezza alla condizione di indeterminatezza del futuro. Un modo per rendere meno ambiguo il suo significato, per poter avere almeno l’illusione di sottrarlo all’enigma, al mistero, per avere la speranza di poterlo abitare.

Abitare il futuro comporta il conferimento di una ulteriore consistenza al proprio presente, in quanto spazio temporale aperto al divenire. Non solo. Significa anche collocarsi in modo positivo nella contrapposizione fra il tempo della fisicità e quello dell’interiorità; significa reagire in modo creativo all’inevitabile dominio che il tempo opera sugli esseri e sulle cose che ad essi appartengono.

Abitare il futuro comporta l’attribuzione di pregnanza semantica al proprio divenire nel tempo, rispetto tanto a se stesso quanto all’altro da sé. Perché come non si abita solitariamente il presente, allo stesso modo non si abita solitariamente il futuro.

E’ probabilmente in questa dimensione che la relazione tra il guardare avanti e il guardarsi indietro e intorno assume un significato sentimentale. La figura, necessaria e indispensabile, dell’altro con cui ci pensiamo nell’abitazione del futuro ha la fisionomia di chi ha abitato con noi il passato e con noi abita il presente. Forse è questo che attribuisce al tempo una condizione di continuità, che in un certo senso, anche soltanto immaginario, ricompone le fratture. Quello che chiamiamo sentimento del tempo e del nostro essere nel tempo è anche questo pensarsi nel futuro allo stesso modo in cui siamo stati nei giorni che abbiamo vissuto, in cui siamo nei giorni che viviamo.

 
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