L'orrore che eccede un atroce duplice delitto

L'orrore che eccede un atroce duplice delitto
di Rosario TORNESELLO
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Lunedì 28 Settembre 2020, 10:06 - Ultimo aggiornamento: 30 Gennaio, 21:33

Pensare la morte. Ipotizzarla, progettarla, studiarla nei minimi dettagli e, infine, darla, infliggerla con la forza inarrestabile della violenza. Esattamente così, come è stata ipotizzata, progettata e studiata in ogni piccolo particolare. Sessanta coltellate, una dopo l’altra. Una sequenza impressionante di colpi menati con furia cieca – non improvvisa, ma a lungo ponderata e perciò ancor più devastante - che pur a volerla pensare rapida sarà durata un’eternità, un tempo infinito in cui né urla né sangue a fiotti hanno frenato l’impeto dell’assassino, privo di sgomento per quello che le proprie mani – le proprie mani – stavano compiendo su quei due corpi giovani, Eleonora e Daniele, sorpresi e dilaniati nell’intimità della propria casa. Un nido d’amore, se si ha idea di cosa sia l’amore sognato e accudito.

Pensarla, volerla fortissimamente. Costruire il percorso della morte passo dopo passo, con un’attenzione meticolosa, uno studio attento del tragitto, un vaglio scientifico delle telecamere sparse in strada, sui negozi, agli ingressi delle abitazioni in un quartiere di Lecce dove l’ansia contende il riposo alla notte. E ora anche gli incubi. I retaggi di un passato difficile hanno tracciato dappertutto, sui pali, sugli edifici, sulle porte, la punteggiatura di una paura appena sopita da una sicurezza data in appalto alla tecnologia, agli occhi elettronici sgranati sulle nostre inquietudini. Sulle nostre incertezze. Un percorso a ostacoli in cui il killer si è mosso con destrezza, velocemente, senza titubanze, nel suo folle cammino verso quella casa, quel sogno d’amore appena accarezzato e subito fatto a pezzi.

La morte, ecco. La pervicacia di armarsi di pugnale, fasciarsi il corpo e di sicuro le mani, infilare qualcosa nello zaino e partire per l’assurda spedizione. Un coltello affilato, liscio da un lato, seghettato dall’altro, fatto apposta per affondare nella carne e strapparla tirando poi su il braccio per il colpo successivo, ancora una volta e ancora per quello dopo. Sessanta. Un’autentica, lucida follia. Un timing scandito minuto dopo minuto, secondo dopo secondo. Eleonora e Daniele che entrano in casa per il loro primo giorno lì assieme dopo i lavori di ammodernamento; lui che porta i pasticcini, lei che prepara la pizza e invia la foto alla madre del ragazzo. La felicità nell’attimo esatto in cui il sogno diventa vero, reale, e il cuore impazzisce di gioia per la vita a due. L’amore che diventa unione. La loro ultima foto, quattro minuti prima di morire. Quattro minuti, il tempo per l’assassino di varcare il cancello del condominio, attraversare il piazzale e salire su per le scale. Sapeva tutto. Lo sapeva bene. Ogni cosa gli era nota. Da tempo.

Uccidere. Ma uccidere così, perché? Quanti delitti assurdi ha vissuto il Salento? Quali orrori lo hanno listato a lutto? Cosa distingue questo dagli altri? Una dottoressa fu massacrata a Gagliano del Capo mentre era di turno in guardia medica. Pioveva, si presentò un giovane ferito al labbro, barcollava per un mix di droghe appena assunto. Lui la uccise nel tragitto in auto verso casa: lei lo aveva accompagnato con la propria vettura. Spontaneamente, mossa a pietà verso un giovane così malmesso, o costretta? A pochi passi da casa la molla omicida, senza motivo: nessuna premeditazione, solo una raffica impressionante di colpi; gli ultimi, mortali, col cacciavite. Una ragazza venne dilaniata da un’esplosione all’ingresso di scuola, a Brindisi: l’assassino era riuscito a progettare tutto con millimetrica precisione, esercitandosi in campagna. Aveva nel mirino i magistrati, ma il Tribunale era obiettivo impossibile. Scelse la scuola alle spalle: le bombole di gas accanto ai bidoni della spazzatura, l’innesco col telecomando, la deflagrazione all’arrivo delle ragazze. Obiettivo indeterminato, solo la voglia di ammazzare. Presi entrambi: il primo tradito dal Dna lasciato con la saliva su un francobollo, il secondo dalle telecamere. L’uno e l’altro incastrati dal fiuto degli investigatori. Un giallo lo puoi risolvere subito se hai fortuna, col tempo se hai bravura.

Pensare la morte. Scegliendo il proprio obiettivo fuori dall’impeto di un momento, al di là di qualsiasi logica di vendetta e rappresaglia, senz’altro motivo che non sia la ragione distorta e insostenibile che l’assassino ha maturato dentro di sé. Un piano delirante, e tuttavia fin troppo esatto, preciso e studiato, dunque ponderato, per parlare di pura, semplice follia. Sfornare la pizza, scartare i pasticcini, sorridersi innamorati, e tutto questo mentre qualcuno – uno – sta pensando la tua morte, l’ha già studiata, l’ha preparata con cura, ha atteso il momento giusto, soprattutto il giorno giusto: è già fuori dalla porta e sta per suonare al campanello. Il tuo, proprio quello. La singolarità della tragedia è tutta qui. Raccapricciante quanto la fine di quei due poveri ragazzi.

Non ci sarà pentimento. Appassionano e commuovono le omelie ai funerali, gli appelli di arcivescovo e sacerdote nell’ultimo abbraccio a Eleonora e Daniele, ai loro genitori, allo stuolo di amici, alle comunità sconvolte, mute a attonite. Costituirsi? Il killer non lo farà, non ne ha nessuna voglia. È convinto di aver firmato il delitto perfetto. E alla fine proprio questo lo tradirà. Quanti indizi avrà lasciato? Quanto a lungo avrà scrutato nei profili Instagram delle sue vittime? Quante volte sarà stato immortalato dalle telecamere mentre le cercava e ne studiava la posizione? Quante tracce di Dna avrà sparso sul cammino a ritroso, a cominciare forse dai lembi di guanto insanguinati ritrovati per strada? E quanta voglia avrà, in fondo, di far sapere che è lui l’autore di tutto questo, ammirandosi nei commenti inorriditi che affollano i social? Lo prenderanno. Ma il suo gesto resterà per sempre inafferrabile. A ogni ragione, a qualsiasi comprensione. L’orrore oltre l’orrore, pensare la morte.

 

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