Il sacrificio e il successo: con le ali ai piedi, l'Italia torna a volare

Il sacrificio e il successo: con le ali ai piedi, l'Italia torna a volare
di Marco CIRIELLO
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Sabato 7 Agosto 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 09:47

Italia nuova Giamaica. Dopo la vittoria nei cento metri, arriva quella nella staffetta 4×100, con Marcell Jacobs, Filippo Tortu, Lorenzo Patta e Fausto Desalu. È la quinta medaglia d’oro italiana nell’atletica leggera a Tokyo, la prima di sempre nella staffetta 4×100 con il tempo di 37’’50. Tra l’altro davanti alla Gran Bretagna, di nuovo. Oops, we did it again. Un riassunto perfetto delle nuove traiettorie dell’atletica mondiale, con le gare che dalla gioia passano al mito, in un circuito sportivo che sembrava impensabile anche dopo la grandissima vittoria di Jacobs. Quelli che sembravano indizi di un nuovo mondo – per l’Italia – ora sono certezze, le accelerazioni incongrue per americani e inglesi ora sono accelerazioni costanti, stavolta Tortu ha fatto Jacobs, dopo che Jacobs ha rifatto se stesso, e cinque medaglie d’oro fanno una impresa più che una prova, e diventano un chiodo nelle piste d’atletica per i prossimi anni. La staffetta è velocità concatenata, rapidità di gesti e pensieri: alla solitudine dei cento metri si aggiunge la compagnia degli altri, e il coordinamento dei desideri. I 400 metri italiani sono stati perfetti, al punto che si potevano sentire le grida di Gianni Brera, mentre vedeva il naufragio degli inglesi e dei canadesi. Italia prima, ancora e ancora e ancora e ancora e ancora. Tanto da far pensare a tutti: siamo la nuova Giamaica, siamo la sorpresa dell’atletica, con radici antiche e risultati altalenanti, prima, ora in costante ascesa. 

Gara dopo gara è un falò di vecchie paure, di idee sbagliate, movimenti scomposti, di pensieri deboli, e spalle curve, fino alla consapevolezza d’essere i padroni, il nuovo nome, la nuova fede, lo scarto inatteso dell’atletica mondiale. Lo spostamento in un’altra dimensione, lontanissima dalla precedente: da una lentezza d’ombre a una velocità luminosa e pure allegra. È come se tutta la sofferenza atletica italiana del passato si fosse trasformata in una modernità con bollicine, una esuberanza che diventa scioltezza, condizione dove niente appare più impossibile. 

Dalle medaglie alle piste

Si gareggia con un alone di speranza in più, e una coscienza di forza irreprimibile dopo il tanto stare a casa, l’allenarsi in cattività e spesso clandestinità di questo anno e mezzo, che è diventato – improvvisamente – incidenza, nuovi record e soprattutto medaglie d’oro. Questo tempo d’esibizione e vittoria continua deve diventare modello, costruzione, sistema, non deve essere una generazione solitaria che scala le vette del tempo – in altezza e lunghezza – con certezza. Queste medaglie e Tokyo devono tramutarsi in piste in Italia, in nuovi investimenti e strutture, e quindi incentivo per i ragazzi che il governo ha chiuso in casa.

Ora ci sono gli esempi, ci sono le medaglie, i record, tocca creare gli altri atleti, tocca usare l’adrenalina di queste imprese, la gioia provata per formare altri atleti, queste gare devono essere le costole adamitiche per generare il resto, solo così potremo evitare di tornare al vuoto nell’atletica. Solo così potremo essere davvero Giamaica, dopo un’altra Olimpiade con questo bottino. Bisogna evitare di sperperare questi traguardi.+

Una silenziosa costruzione

Affilare le aspettative, lavorare sulle volontà e generare altri Tamberi, altri Jacobs, altri Tortu, altri  Stano e altre Palmisano. I gesti rivoluzionari – e giamaicani – di Tokyo devono diventare struttura, è difficilissimo, ma bisogna farlo, serve a tutti, come sta scoprendo anche chi non segue abitualmente l’atletica: fatta di lenta e silenziosa costruzione, immane fatica erculea, e ricerca donchisciottesca. Dove ogni secondo guadagnato, consumato, sfilato è un gesto rivoluzionario. Questo filotto di medaglie, ma anche solo le semifinali o le semplici batterie conquistate con nuovo spirito, con corsie occupate con una nuova mentalità, hanno mostrato una generazione italiana che è tornata all’atletica come si torna all’amore, con un salto di qualità enorme e uno scavo di spazi sul podio inimmaginabile: da apertura celeste. 

Adesso che tutti parlano dell’Italia e gli angloamericani si incazzano come i francesi un tempo nel ciclismo per Bartali – come cantava Paolo Conte –: gli italiani devono andare oltre la convergenza astrale, la somma karmica o la banale fortuna, spingendo la coniugazione sforzo-risultato ancora un po’ più in là. Perché le certezze acquisite oggi devono diventare la base di quelle di domani, altrimenti è tutto inutile.
 

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