Noemi, le richieste di aiuto che non sappiamo più ascoltare

Noemi, le richieste di aiuto che non sappiamo più ascoltare
di Rosario TORNESELLO
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Giovedì 14 Settembre 2017, 12:31 - Ultimo aggiornamento: 12:34
Se ne è andato anche il sorriso. Il suo, per primo. Aveva scritto su Facebook che non glielo avrebbe portato via nessuno, mai. Sbagliava. Noemi aveva l’età in cui si credono vere alcune cose, false altre, errando spesso in entrambi i sensi: se ne sognano di immortali, come l’amore; se ne scoprono di laceranti, inattese e autentiche, come il dolore. Lei le ha vissute tutte, e velocemente. Non è bastato a proteggerla. L’adolescenza ha ritmi accelerati, fasi convulse, scarti improvvisi. Troppo per la mente umana degli altri, gli adulti, a volte lenta, spesso distratta, per poter valutare, capire, agire.

Se ne è andata col suo sorriso. L’assassino - fidanzato no, risparmiamocelo, ché la parola rimanda ad altro e lui non era quest’altro - gliel’ha strappato a colpi di pietra, seppellendolo in campagna. «Ero esasperato», ha detto confessando l’orrore e ammettendo il delitto, come se le cose fossero allineate in sequenza logica. «Ero esasperato, l’ho uccisa». Non è questo l’epilogo scritto? Non si fa così nell’era certificata del femminicidio? In questa sciagurata stagione, infinita e perciò fuori dal tempo, di cui prima o poi capiremo le cause per trovare i rimedi che non siano nella spirale necessaria e inutile della pena e del carcere, non funziona così? «Ero esasperato». L’ha uccisa. Cos’altro resta?

Qualcuno dirà che la forma in fondo è sostanza, e che perciò la cornice stretta e angusta, per forza di cose alienante, di un paesino del profondo sud sia il contesto in cui ritrovare - volendo - le chiavi di lettura di un delitto, l’ennesimo, seguendo le figure classiche della tragedia: l’amore, la gelosia, le famiglie contro, l’omertà, il nulla che aleggia fino al dramma finale. Morte e dolore, sangue e lacrime, tutto assieme. Ma buona parte di questa riflessione si porta appresso il dubbio che no, stavolta forse non c’entra. A partire dal sud, non così profondo, e dal paese, non così depresso. E quanto alla gelosia, da qualsiasi lato brandita, difficile inquadrarla come sentimento quando latitano equilibrio e senso di responsabilità. Qui sono mancati l’uno e l’altro. Ed è mancata, soprattutto, una generale capacità di ascolto. Disperati sono i casi umani, non i luoghi.

Ci sono codici e canali comunicativi che sembrano ormai aver perso il ruolo salvifico dell’allarme. Evidente, concreto, palpabile. Il frastuono che rende possibile tutto e il contrario di tutto nell’epoca della “post-verità” dilagante e del “fake” imperante, dentro e fuori la Rete, annacqua gli elementi con cui il pericolo si fa presente in quanto fatto reale e visibile. La madre aveva denunciato in caserma le percosse subite da Noemi quattro mesi fa, un giorno che l’aveva vista rientrare piena di lividi e di lacrime. Non basta? La stessa ragazza aveva compilato un post, l’ultimo, sul suo profilo Facebook, il 23 agosto scorso. Ore 13.30, immagine eloquente: una donna picchiata e oltraggiata, una mano d’uomo a tapparle la bocca, sul polso un tatuaggio: Love? “Non è amore se ti fa male; non è amore se ti controlla; non è amore se ti fa paura di essere ciò che sei. Non è amore, se ti picchia; non è amore se ti umilia”. Neanche questo è bastato. E in paese tutti, o quasi, sapevano dei contrasti, delle accuse reciproche e dei tormenti. Tra le foto che abbiamo visto e ancora vedremo, sui giornali e in internet, ce n’è una di Noemi che colpisce per la sua radiosità: sguardo fiero, sorriso oltre il rossetto, sulla mano sinistra alcune lettere scritte a penna, una per ogni dito. Se ne scorgono quattro, la quinta si intuisce: “Happy”. Ma è durato poco.

Così la tragedia si compie: non abbiamo saputo ascoltare le richieste di aiuto. Non siamo stati in grado di interpretare l’allarme, leggere l’emergenza, intuire il dramma. Non sono bastati la denuncia formale e il messaggio multimediale, le voci di piazza e i trattamenti sanitari. Il silenzio e l’omertà qui davvero c’entrano poco, anzi nulla. È sud, ma non così profondo; non così depresso. Tanto da poter, persino, non essere sud. Perché questo omicidio non è più disgrazia locale ma sciagura universale replicabile ovunque, nella nostra indifferenza, più volte testata e brevettata, qui e altrove. Eccoli i risultati. Noemi è sgusciata fuori dalla porta di casa nel buio della notte, poco prima che sorgesse il sole, il 3 settembre. Incontrando il suo assassino (fidanzato no, davvero no) è scivolata fuori dalla propria vita, ma non dalla nostra. Ritroveremo il suo sorriso solo quando ritroveremo noi stessi.
 
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