Il Natale e il coraggio di essere uomini fino in fondo

di + Mons. Vito ANGIULI
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Venerdì 24 Dicembre 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 26 Dicembre, 23:38

Il valore religioso della festa di Natale è strettamente legato al suo significato antropologico, sociale e culturale. In questa prospettiva, diventa un aiuto ad affrontare i molteplici problemi della vita quotidiana, a partire dalla pandemia che non dà segni di tregua ed incombe ancora con il suo pesante fardello di sofferenza. Almeno a Natale, è giusto che il sogno prenda il sopravvento sulla realtà. 

A dire il vero, i racconti evangelici, se letti con attenzione, nonostante la grande gioia per la nascita di Gesù, lasciano trasparire un’ombra di tristezza quando ricordano che, a Betlemme, Maria e Giuseppe non trovano posto nell’alloggio (cfr. Lc 2,7) e soprattutto quando narrano il crudele episodio della strage degli Innocenti (cfr. Mt 2,16-18). Questi due richiami evangelici si ripresentano nel nostro tempo in tutta la loro tragica verità e concretezza. 
Nella terra di mezzo, tra Bielorussia e Polonia, l’esodo di migranti è bloccato con la forza delle armi e lo sbarramento del sfilo spinato. Drammatiche sono le immagini di adulti, e perfino di bambini, che muoiono al “freddo e al gelo”, proprio come canta la più classica delle canzoni natalizie. Il sogno di un “bianco Natale” non rende le giornate più felici e radiose, ma aggiunge dolore e dolore. Non c’è posto in Europa per questi migranti. 

La fuga per una vita degna

Non c’è posto nemmeno per coloro che si avventurano nel Mediterraneo, in cerca di una vita degna di essere vissuta. Se i migranti del Nord-Europa sono costretti a passare l’inverno sotto le tende, quelli che solcano il Mediterraneo devono affrontare un pericoloso viaggio su barconi sempre in bilico tra il raggiungimento di un porto sicuro e la possibilità di rovesciare in mare il carico umano che trasportano. A ragione, Papa Francesco ha detto che il mare che per millenni ha unito popoli diversi e terre distanti, ora «sta diventando un freddo cimitero senza lapidi». 

Gravi e sempre più frequenti sono anche le molteplici crisi aziendali che coinvolgono i lavoratori, le loro famiglie e l’intero territorio nazionale, ulteriormente depauperato per mancanza di lavoro. Assolutamente deplorevole è il fatto che i licenziamenti avvengono sempre più spesso senza nessuna attenzione e rispetto per il lato umano della dolorosa vicenda. Basta solo un anonimo e insindacabile “click elettronico” per distruggere la vita di persone che, di colpo, si trovano senza stipendio e senza la possibilità di avere risorse per sé e i loro familiari. 

La cultura dello scarto

Questa “cultura dello scarto” è tanto più paradossale se si considera che avviene mentre l’Europa aspira a farsi paladina di una cultura “inclusiva”, aperta, accogliente e rispettosa di tutti. È nota la vicenda delle recenti linee guida, proposte e poi frettolosamente ritirate, intese ad eliminare ogni forma di discriminazione. Insieme ad altre indicazioni, esse consigliavano di non utilizzare l’espressione “festa di Natale”, ritenendola suscettibile di urtare la sensibilità di chi non è credente o segue tradizioni e calendari religiosi differenti. 

Papa Francesco ha bollato questo tentativo con l’aggettivo “anacronistico”. Puntuali sono anche le osservazioni di Rosario Coluccia, Accademico della Crusca e Professore emerito di Linguistica italiana, pubblicate su questo giornale (domenica, 12 dicembre, p. 19): «Una società aperta non è quella che dimentica la propria tradizione e la propria cultura, la democrazia non significa oblio di sé stessi, la tolleranza non significa la messa in discussione della propria identità (stratificata, mutevole, complessa)».

Certo, egli ha aggiunto «la lingua deve porsi l’obiettivo di non favorire le discriminazioni e di rappresentare le giuste esigenze di inclusività e di riconoscimento sociale. Ma deve farlo attraverso la complessità dei ragionamenti e con formulazioni adeguate, senza inseguire soluzioni lessicali in apparenza facili, nella realtà solo estrinseche e strumentali, perciò non condivisibili».

Il dominio del "neutro"

In caso contrario, l’Europa, che vuole essere “inclusiva”, diventa nei fatti una società “escludente” per chi non si adegua a procedure ritenute “non discriminanti”. La pretesa neutralità della cosiddetta “cancel culture”, nella foga del “politicamente corretto” e nel tentativo di tagliare le radici culturali e di vietare ogni identità, finisce per cadere nel ridicolo. In nome della diversità e della differenza, apre la strada al dominio del “neutro”, da cui Emanuel Lévinas aveva messo in guardia. L’identità non è un motivo per scontrarsi, ma per accogliere, dialogare, creare appartenenza e reciproco riconoscimento. Ed anche l’inclusione non deve essere intesa come dispersione dell’identità, ma come convivialità delle differenze.

Per essere veramente “inclusiva e accogliente”, più che enunciare formule astratte, l’Europa dovrebbe affrontare i gravi problemi connessi con i flussi migratori, la crisi pandemica, le difficoltà economiche e sociali che incombono nel nostro tempo. «Se vogliamo ripartire, ha ribadito Papa Francesco, guardiamo i volti dei bambini. Troviamo il coraggio di vergognarci davanti a loro, che sono innocenti e sono il futuro. Interpellano le nostre coscienze e ci chiedono: “Quale mondo volete darci?” Non scappiamo via frettolosamente dalle crude immagini dei loro piccoli corpi stesi inerti sulle spiagge». 

L'umiltà e la povertà

Il Figlio di Dio non si è fatto Bambino per diventare una statuina del presepe, ma per partecipare pienamente e dall’interno ai drammi della storia. È venuto per tutti, senza escludere nessuno. Non si è imposto con la maestà della sua divinità, ma è venuto nell’umiltà e nella povertà rendendosi visibile e vivente in ogni uomo che soffre. In lui, è possibile intravedere il volto di Dio. 

È auspicabile, pertanto, che l’Europa non abbia paura del Bambino nato a Betlemme duemila anni fa. Non lo estrometta dalla “casa comune” nella quale dimora da secoli e non utilizzi i suoi “mediatori culturali” per eliminarlo dal suo orizzonte linguistico. L’annuncio portato da Cristo è veramente “inclusivo” e assicura a tutti un futuro di pace. Per questo non solo non si deve cancellare la festa di Natale, ma bisogna valorizzare ancora di più il suo messaggio di fraternità e di pace che invita tutti a essere “veramente umani”, perché sostenuti da quel Dio che si è fatto “veramente uomo”.


*vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca
 

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