Aumentano le vendite dei libri di carta: il sapere ha il suo luogo di elezione

di Antonio ERRICO
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Domenica 18 Luglio 2021, 05:00

Dal 4 gennaio al 20 giugno di quest’anno, nelle librerie online e fisiche, e nella grande distribuzione, sono stati venduti 15 milioni di copie di libri a stampa in più rispetto al 2020. Considerando questi risultati forniti dall’ufficio studi dell’Associazione Italiana Editori, su dati NielsenIQ, viene da pensare che le stagioni del libro di carta non sono ancora passate e che probabilmente non passeranno: non nel secolo che corre, quantomeno. Viene anche da pensare che probabilmente aveva ragione Umberto Eco quando diceva che il libro è come il cucchiaio, il martello, le forbici, la ruota, che una volta inventati non si può fare di meglio. Peraltro c’è da tener conto del fatto che noi abbiamo le prove che un libro di carta dura anni, decenni, secoli; per gli e-book, invece, non abbiamo, almeno per adesso, le stesse prove. 

Certo sarebbe straordinaria una biblioteca dentro casa con gli scaffali traboccanti di libri di carta e in mezzo ad essi gli e-book. Sarebbe straordinaria una biblioteca del genere in ogni piccolo paese di provincia, centinaia, migliaia di biblioteche del genere in ogni grande città. Libri di carta ed e-book messi insieme. Però vorrei permettermi il suggerimento di non dare mai un e-book in mano a un bambino che comincia a leggere. A un bambino che comincia a leggere si devono dare quei grandi, cartonati, colorati libri di fiabe, quelli che uno s’incanta soltanto a guardarli. Quelli con cui devi per forza imparare a leggere perché inconsciamente senti che la loro bellezza non la puoi tradire. Quando l’infanzia sarà passata, quando diventerà lontana lontana, a quel bambino resteranno i colori magici di quelle immagini, il ricordo dei suoi occhi rapiti dalla meraviglia. Lo racconta Jean Paul Sartre in “Le parole” tradotto da Luigi De Nardis per il Saggiatore nel 1982. 

Il cambio di generazioni e di saperi

Probabilmente non passeranno mai le stagioni del libro di carta. Forse perché soltanto il libro di carta consente di scendere nelle profondità dei significati, di ritornare sui concetti, di confrontare testi diversi. Ma le generazioni cambiano e cambiano i saperi e cambiano anche gli strumenti con i quali le generazioni si confrontano con i saperi. E’ normale che sia così; è anche giusto che sia così. Non solo è giusto e normale: è anche bello che i territori del sapere vengano attraversati con strumenti diversi. L’importante è non sostituire, non archiviare. L’importante è usare gli strumenti quando servono e nel modo in cui servono.

Si può studiare dentro stanze tecnologiche, ma con i libri di carta. Ora come allora.

Notti sui libri di carta.

Sottolineati a matita, a penna, con gli evidenziatori gialli, verdi, rossi. Libri magari comprati a metà prezzo, magari ricevuti in prestito da chi si è tolto già quell’esame dal groppone. 

Con i libri di carta sono state innalzate cattedrali di conoscenza. Venga tutto il resto, ma quelle cattedrali non si possono ignorare, non si possono destinare all’abbandono. 

Anche perché ogni cosa ha la sua natura e la natura del libro appartiene alla carta. Alla carta appartiene la natura della scrittura: alla pietra e alla carta. Le tavole della Legge e i graffiti nelle grotte di Badisco rappresentano una grande metafora della relazione connaturata tra la pietra e la scrittura. 

La prova della sopravvivenza

Con la tecnologia – che sia benedetta per i servizi che rende agli uomini e alle donne ( forse ai bambini ne rende un po’ di meno)- si può fare tanto, si può fare molto. Ma che cosa mi porto sull’isola deserta? Dove ci sono solo io e il mare e il pensiero, che cosa mi porto? Un e-book, un computer, un altro di questi strumenti? Certo. Ma quando si scarica la batteria come mi arrangio? Come farò a leggere e rileggere l’Odissea o la Bibbia, o la Terra desolata, o Robinson Crusoe, o Pinocchio?

Ragionamenti estremi, si dirà. Può darsi. Però alcuni scienziati dicono che la possibilità di trovare informazioni in rete sta facendo diminuire le nostre capacità mnemoniche. Che gli studenti fanno fatica ad esprimere compiutamente un pensiero in forma scritta perché sono abituati alla funzione del completamento automatico su computer e cellulari. Che il computer affina la nostra abilità di multitasking ma peggiora la capacità di filtrare informazioni. Sono degli esempi. 

Se sia vero o sia falso non posso saperlo. Lo si chieda agli scienziati. 

Mi permetto solo di pensare che sia necessario innanzitutto procedere in modo graduale e poi contemperare. 
Nessuno, suppongo, si azzarderebbe a dare la bicicletta a un bambino che non ha ancora imparato a camminare. Nessuno pensa, suppongo, che l’esistenza dell’auto escluda l’uso della bicicletta o delle gambe. Allora non si tratta di pensare gli strumenti in modo alternativo, ma di integrarli in ragione della funzione che hanno e dell’obiettivo. 
Accade spesso che il nuovo si proponga come la soluzione del problema. Ma se è una macchina a risolvere il problema, poi non si capisce come fare a risolvere quello stesso problema quando succede che la macchina, per un caso o per l’altro, non funzioni. 
 

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