Lecce calcio: la vittoria di molti, la sconfitta di pochi

Il commento sulla salvezza del Lecce, sul traguardo raggiunto e sugli errori da non ripetere

Foto Marco Lezzi
Foto Marco Lezzi
di Giovanni CAMARDA
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Mercoledì 31 Maggio 2023, 13:15 - Ultimo aggiornamento: 13:33

Spiace, davvero. I ragazzi hanno dato tutto, cercando di raggiungere un obiettivo che a un certo punto della stagione sembrava irrimediabilmente compromesso. Troppi punti, troppi risultati, troppo divario: retrocedere appariva ormai praticamente impossibile. A febbraio, dopo il successo di Bergamo, era già tutto finito. Peggio, cominciavano a fare capolino traguardi inimmaginabili, per esempio chiudere il campionato nella parte sinistra della classifica. E giù brutti pensieri: impossibile contestare, in queste condizioni. Invece, pian piano, ecco le sconfitte in fila, due, tre, sei. E la speranza: non tutto è perduto, si può ancora aprire uno spiraglio. Bisogna crederci.
E ci hanno creduto, ovviamente, perché contestare per alcuni è proprio una ragione di vita, l'occasione per dimostrare di esistere, di avere un ruolo, una sovranità territoriale.

Non è stato facile, perché le obiezioni c'erano: sì, contestiamo, ma come si fa, il Lecce non è mai stato in zona retrocessione. Vabbè, pazienza: ci sono state proteste ben peggiori e con motivazioni ancora meno plausibili. Istruttivi i sassi contro l'auto di Valdes dopo un Lecce-Ascoli 0-0, seconda (seconda) giornata di serie A, allenatore Gregucci. Quindi, nessun problema. L'avevano fatto allora, si poteva rifarlo adesso. Specie dopo le dieci occasioni da gol fallite contro la Sampdoria. Sì, la prestazione più brillante dal punto di vista offensivo, ma chiusa con un misero pareggio. Troppo poco. Così sono partiti: squadra umiliata sotto la curva e rispedita indietro; mirino su Corvino, il responsabile di tutto.
Sempre lui, il solito. Non lo possono soffrire da una ventina d'anni, molto prima che il figlio diventasse procuratore. Dunque, a prescindere. Dai risultati, dai bilanci, dalle promozioni, dalle salvezze. Una iattura, questo qua. Pensavano: non riuscirà a portare il Lecce in salvo, con un monte ingaggi che tutto insieme non copre lo stipendio di un Allegri, per dire. Fantascienza.

Bisognava approfittare del filotto negativo, la miccia per l'attacco destabilizzante. Finito male, purtroppo per costoro. Sono stati pure sfigati, però, bisogna riconoscerlo: quello, il vichingo, che prima sbaglia il rigore e poi lo regala al Lecce. E Colombo che lo segna pure: ma dove si è mai visto un finale così? Peccato, retrocedere dopo la classifica di Bergamo sarebbe stato un trionfo. Ma, onestamente, a quel centinaio di ragazzi che cosa si può rimproverare? Nulla, hanno fatto il massimo, di più davvero non potevano. Precisi, tosti, organizzati, tristi, incazzati. Allineati anche nel dress code, inderogabile: nero lutto stretto. Fosse mai che qualcuno pensasse di potersi infilare in quell'enclave con altri colori addosso, anche se tra i cori sempre sulla cresta dell'onda da una trentina d'anni sopravvive anche il fatidico "per la maglia, solo per la maglia". La verità è che lì, proprio quella maglia giallorossa non può entrare. Succede anche altrove? Sì, praticamente ovunque. È una consolazione? No, tantomeno una giustificazione.
Il Lecce è stato più forte anche di loro, oltre che di Verona, Spezia, Cremonese e Sampdoria.

Traguardo incredibile. E sofferto, come è naturale che sia e come a un tifoso dovrebbe in fondo dare anche maggiore soddisfazione. Dicono che siano i successi più belli da vivere, una gratificazione incommensurabile per chiunque sia innamorato della propria squadra. Gente per la quale non ha alcun senso parlare di sacrifici: chi è disposto a tutto per quei colori, in realtà, non fa alcuna rinuncia ma appaga un moto dell'anima, esattamente come un innamorato che mai si sognerebbe di rinfacciare alla propria fidanzata, distante chilometri, le notti insonni, i viaggi, i soldi spesi per raggiungerla. Il sacrificio sarebbe non poterla vedere, esattamente come con la squadra del cuore.
Differenze da sottolineare, indicative di una distanza siderale tra chi ama davvero e chi invece briga solo per esercitare un potere, fosse anche solo quello di causare danni ad una società impeccabile lanciando petardi e fumogeni.

Lo tengano a mente anche i giocatori, domenica, per la festa: è giusto che lo stadio, i tifosi, li ringrazino. Non viceversa. O, nel caso, sia il grazie a tutto un popolo, un territorio, non solo ad uno spicchio di curva. Discriminando il resto del Via del Mare, le famiglie, i bambini, gli anziani, quasi fossero irrilevanti. Non lo erano, non lo sono: hanno dato, senza pretendere, semplicemente per la gioia di farlo. Criticando, ogni tanto, dopo una o più partite deludenti. Poi però hanno guardato oltre, hanno ragionato, capito. Ed esultato, senza particolari coreografie. Si vince e si perde. Anche sui gradoni dello stesso stadio.

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