La violenza dei fascisti e degli antifascisti col passamontagna

di Paolo MACRY
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Sabato 24 Febbraio 2018, 14:25 - Ultimo aggiornamento: 14:28
L'ultimo frutto avvelenato di questa campagna elettorale è la violenza di piazza. Ma anche su un simile fenomeno (certo preoccupante) rischiano di calare le nebbie della grande manipolazione politica e mediatica che sta caratterizzando, in queste settimane cruciali, l’intero discorso pubblico. I fatti cioè sono triturati nella macina delle ideologie d’antan e delle furbizie politiche e, come spesso capita in questo Paese, due e due non fa più quattro. Tutto è cominciato quando la sparatoria di Macerata è stata assunta, per quasi unanime giudizio, come il segno di un rigurgito fascista in atto nel paese, sebbene la sua dinamica facesse pensare piuttosto al gesto isolato di un criminale razzista.
Certo è che da qui è partita una sorta di movimento neo-resistenziale al cui interno hanno finito per mescolarsi cose molto diverse. La sinistra di LeU, che accusa Renzi di essere troppo timido rispetto alla minaccia. La terza carica dello Stato, cioè Laura Boldrini, che chiede a gran voce di mettere fuori legge i gruppi della destra. L’Anpi, naturalmente. Lo stesso Pd che, sebbene tirato per la giacchetta, partecipa oggi alla manifestazione di Roma. E poi, prevedibilmente, i movimenti antagonisti e i centri sociali.
Il problema è che, mentre gli antifascisti in doppiopetto gridano alla «violenza nera» nei talkshow, gli antifascisti «militanti» la praticano nelle piazze. Ormai quotidianamente. Teorizzano che ai fascisti non dev’essere data agibilità politica (come si diceva quarant’anni fa) e mettono in pratica la minaccia dovunque capiti. Ingaggiano guerriglia con la polizia. Usano bombe carta riempite di bulloni. Tendono agguati ai leader di destra e li pestano in pubblico. E’ successo, in un crescendo impressionante, a Piacenza, Livorno, Bologna, Napoli, Palermo, Torino.
I fatti sono questi. E pongono una domanda precisa, sebbene imbarazzante. Ma se il fascismo è violenza, chi sono i veri fascisti se non i sedicenti antifascisti? O meglio. Siamo sicuri che esista oggi un rigurgito fascista nel paese? E che non esista piuttosto un rigurgito di quell’antifascismo col passamontagna che ricorda molto (non nelle dimensioni, per fortuna) la sciagurata stagione degli anni Settanta?
I fatti, al tempo stesso, suggerirebbero di affrontare il fenomeno con qualche razionalità, nel caso ovviamente non si intendesse strumentalizzarlo a fini politici. Esclusa l’ipotesi di mettere al bando Casa Pound o Forza Nuova, per i motivi formali spiegati ieri sulla Stampa dal magistrato Guido Salvini e per non vittimizzare un segmento di opinione pubblica che ne avrebbe probabilmente qualche beneficio elettorale, ed esclusa per le stesse ragioni l’ipotesi parallela di mettere fuori legge le organizzazioni degli antagonisti, resta tuttavia quella che il buon senso indicherebbe come la strada maestra. E cioè controllare con ben altro rigore i gruppi da cui fattualmente nasce la violenza, i covi degli incappucciati, i «collettivi» dei rudimentali ordigni assassini. Attuare una particolare vigilanza alla vigilia delle manifestazioni di piazza. Applicare misure di sicurezza preventive come il Daspo, quando si può. In fondo è la percezione di un anti-Stato tuttora circoscritto, ma straordinariamente impunito, quel che colpisce l’opinione pubblica.
E invece anche un ministro efficace come Marco Minniti sembra avere qualche difficoltà nell’adottare certe misure. E la ragione sta nel fatto che sulle dinamiche di questi giorni è calata la scure dell’avventurismo politico. Che la sinistra parlamentare antigovernativa ha deciso di cavalcare senza alcuna prudenza la retorica antifascista. Che lo stesso Salvini si è buttato a capofitto nel clima allarmistico degli opposti estremismi, rispondendo alla manifestazione dell’Anpi con un raduno dei suoi a Milano. In un simile contesto, ogni iniziativa di Minniti diventa complicata. Il ministro verrebbe accusato, da una parte o dall’altra, di condizionare lo scontro pre-elettorale.
Del resto, le furbizie dei politici e le timidezze delle prefetture non sono una novità. Fu il sindaco Luigi de Magistris a inaugurare la stagione delle piazze violente, quando un anno fa proclamò in modo roboante che il leader della Lega non doveva parlare a Napoli perché «razzista e antimeridionale». Detto e fatto, ci furono ore di guerriglia furiosa, ragazzi a volto coperto, molotov, spranghe. E trenta poliziotti contusi. Anche allora il linguaggio dell’antifascismo fu usato a sproposito. Anche allora la violenza venne dalla sinistra antagonista e fu coperta politicamente dalla sinistra in doppiopetto. E anche allora lo Stato sembrò troppo acquiescente.

 
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