La carenza di medici, una crisi annunciata e mai affrontata

La carenza di medici, una crisi annunciata e mai affrontata
di Carlo CIARDO
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Domenica 19 Maggio 2019, 20:24
Per un sottile gioco del destino a ridosso della festa dei lavoratori è stata diffusa la notizia che davanti alla carenza di medici e, quindi, al rischio di interruzione di pubblico servizio per carenza di personale, l’Azienda Sanitaria di Treviso ha deciso di far arrivare specializzandi all’ultimo anno direttamente dall’università rumena di Timisoara. La Puglia non fa eccezione, tanto è vero che è stata diffusa la notizia che si stia facendo scouting per selezionare 300 unità dall’estero. Questa realtà rappresenta la cartina al tornasole di un sistema di formazione e selezione inefficiente. La sintesi brutale potrebbe essere: mancano i medici, ma ci sono i laureati.

È fortissimo lo stridore tra le parole provenienti dalle piazze del 1° maggio in merito alla disoccupazione e alle difficoltà presenti sui luoghi di lavoro e la realtà della sanità italiana, che ci racconta di almeno quattro regioni nelle quali vi è assoluta necessità di medici specialisti senza che tale esigenza riesca ad essere soddisfatta. Il Veneto ha un deficit di 400 unità, poi c'è il Piemonte con 300 e la Puglia, insieme alla Lombardia, con 100 posti vacanti. Addirittura il Presidente della Regione Veneto a marzo ha dichiarato che ad un concorso bandito per l'assunzione di 80 medici se ne sono presentati solo 10.

Per di più, secondo uno studio diffuso dal sindacato dei medici Anaao Assomed, nel lasso temporale 2018-2025, è prevista una carenza di circa 16.700 specialisti, con picchi in Piemonte (per 2.000 unità), in Lombardia (oltre 1.900), in Toscana (quasi 1.800), in Sicilia (2.250) ed in Puglia (quasi 1.700 posti vacanti).
Tutto questo accade anche per una sorta di imbuto nella formazione universitaria e post-universitaria, che i numeri rendono plasticamente.

Ogni anno, a fronte di quasi 10.000 laureati in medicina ci sono circa 6.000 borse per il percorso specialistico. Ebbene, se già l'ingresso ad una facoltà di Medicina e Chirurgia trova il primo step selettivo nel numero chiuso, a questo va aggiunto il salto nel vuoto verso una specializzazione. Quest'ultimo passaggio lascia per strada quasi 4.000 neolaureati all'anno, i quali non hanno ingresso alle scuole di specializzazione e, quindi, non riescono a diventare forza lavoro per i Servizi Sanitari Regionali. Un fallimento per tutti, in primo luogo per i pazienti.

Sotto un altro profilo, si pensi che lo Stato italiano investe nel percorso formativo di ogni studente di medicina circa 150.000 euro. Se poi tale iter non ha un seguito, anche per carenza di borse per le specializzazioni, si determina uno svilimento per i neolaureati e un spreco di risorse per le casse pubbliche. Non riusciamo a rendere completo il ciclo formativo, così creando il massimo dell'esborso e il minimo del risultato per la nostra sanità.

L'ultima legge di bilancio, pur non risolvendo la questione delle borse di studio per le specializzazioni, ha invece affrontato il problema della carenza di medici specializzati nella sanità consentendo agli specializzandi all'ultimo anno di partecipare ai concorsi pubblici. Si comprende bene che questo non consente di ovviare alla discrasia a monte, ma cerca di mettere una toppa a valle, accelerando l'immissione nel mondo del lavoro.
Per stessa ammissione della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici, in Italia attualmente ci sono più di 15mila laureati in attesa di Godot. Parliamo di un esercito che non ha avuto accesso né ad una borsa per la specializzazione, né al corso di medicina generale e che, quindi, non può fare ingresso a pieno titolo nel Servizio Sanitario Nazionale. Ragazzi che devono limitarsi ad attendere la selezione successiva per entrare a far parte di una scuola di specializzazione o del corso di medicina generale e nelle more devono barcamenarsi tra brevi sostituzioni e contratti a termine.

Al danno poi c'è da aggiungere la beffa. Un tempo ad emigrare era solo chi non aveva una qualifica, un titolo di studio, e con la sua valigia di cartone salutava gli affetti per trovare fortuna all'estero. Oggi invece il profilo dell'italiano che emigra non risparmia neppure i laureati in medicina, tanto è vero che i dati della Commissione Europea ci dicono che tra i medici europei che lasciano il proprio Paese il 52% sono italiani.
Davanti ad un certo tafazzismo italiano nel ripetere errori, che poi si riflette sulla salute del Paese (nel vero senso della parola), viene in mente - sempre a proposito di Godot - quella frase di Samuel Beckett Ho provato, ho fallito. Non importa, riproverò. Fallirò meglio.
 
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