Il cortocircuito tra conoscenza, incertezza e infelicità

di Carmelo ZACCARIA
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Giovedì 17 Marzo 2016, 19:35
Di recente, tra le pagine di un romanzo ho trovato questa frase: “Dicono che la felicità si trova nelle piccole cose, sapeste l’infelicità". È sempre preferibile rammaricarsi del proprio destino con una punta di gioiosa leggiadria, scherzandoci sopra. Anche l’incertezza si annida nelle piccole cose, nelle mille sfaccettature quotidiane, si insinua nella mente delle persone come un fastidioso batterio, frenandone l’impulso creativo, fiaccandone il vigore determinandone gli umori e il sentimento.

Piuttosto l’infelicità appartiene più alla sfera individuale, in quanto dimensione dell’anima, non esiste una sua funzione graduata o frazionabile (o si è felici o si è infelici) ed il suo grado di intensità viene percepito con una frequenza costante nel corso del tempo anche se si avverte in modo occasionale (gli uomini del medioevo erano felici o infelici allo stesso modo dell’uomo post-moderno); l’incertezza, invece, è uno stato d’animo con tonalità differenti disegnate su una scala di assimilazione mentale che può aumentare (piuttosto che diminuire) perché è più strettamente legata al nostro livello di consapevolezza interiore. L’incertezza si specchia nella nostra esistenza come rappresentazione o conseguenza della realtà sociale e della sua evoluzione. Più si conosce più si afferma l’incertezza. Sembra non ci sia parola più scambiata nel lessico contemporaneo e non c’è sensazione più riconoscibile in individui sempre più perplessi e insicuri di fronte alla trasformazione continua del mondo circostante, soggetti passivi, inermi, incapaci di comprendere gli eventi, sorpresi dalla difficoltà di orientare dentro una esistenza tranquilla la relazione con il mondo esterno.

Esistenze disorientate, come mai era successo dal dopoguerra, che sfociano nel deprezzamento dell’oggi e nella diffidenza del domani sempre più sfuggente e insondabile; l’incertezza penetra come umore maligno e impalpabile anche nelle cose più semplici, private di simboli e valori primordiali che restano ai margini, sbriciolandosi in un subbuglio che frastorna, che annienta quel poco di identità che si sperava aver raggiunto: e così nella scelta del cibo, nella scelta di un abito, di un percorso, nel modo di approcciarsi all’amore, al matrimonio, all’amicizia, al rapporto con il vicino, per non parlare del cruccio frustrante nel pensare al futuro dei figli, della confusione che segna i loro e i nostri occhi, sempre più perplessi e tentennanti.

Il sociologo Bauman ha dedicato un intero libro sul tema dell’incertezza mettendone in luce le cause e gli effetti sociali deformanti che provoca, immaginando anche una modalità di intervento per riuscire almeno ad attenuare i riflessi più macroscopici di turbamento e assuefazione; in realtà le stesse cause descritte nel libro si sono amplificate negli ultimi vent’anni, con il progredire del tempo, lasciando dolorosi strascichi nella vita delle persone, come cicatrici tumefatte in via di decomposizone. A partire dalla crisi dell’ordine mondiale fondato sulla presenza dei due blocchi che bilanciandosi domavano la paura di una nuova guerra, dando tranquillità alla comunità inernazionale, sino alla recrudescenza delle tensioni sul tema degli stranieri il cui impatto sull’incertezza è cresciuto a dismisura assieme all’atroce prosecuzione di naufragi, cadaveri in mare, ondate di profughi, per finire nella turbolenza comunicativa con il mondo “estraneo” dell’Islam.

E poi la scomparsa del lavoro o, se vogliamo, la sua definitiva mutazione in occupazione temporanea, pervasa di precarietà, motivo di incessante apprensione che rende le persone sempre più fragili e vulnerabili, togliendole la possibilità di fare progetti a lunga scadenza per sé e per la propria famiglia, impoverendo un mondo del lavoro dove la preparazione e la fatica non servono più, minacciati di essere scaraventati arbitrariamente fuori con umiliazione e senza preavviso, facendo piombare improvvisamente nel panico migliaia di persone.

A questo si aggiungano le recenti politiche dell’austerità che stanno sistematicamente ridimensionando la spesa sociale asciugandola dei suoi contenuti solidaristici e di protezione, lasciando alla sola disciplina del mercato e al potere della finanza, lucida e spietata, che tutto regola e tutto sa prevedere, le soluzioni dei mali che essa stessa ha provocato, pensando di poterne uscire con la più terribile delle strategie economiche cioè abbattendo il welfare così faticosamente costruito nei decenni scorsi. Ciò, come annota Luciano Gallino in “Il denaro, il debito e la doppia crisi”, per accontentare ancora una volta la classe dell’1% e confinando progressivamente nel buio del dimenticatoio i diritti e la salvaguardia della restante parte di popolazione.
L’incremento delle disuguaglianze è la diretta conseguenza di questa strategia e amplifica oltremodo la percezione dell’incertezza in quanto impone lo scivolamento verso il basso di individui la cui sofferenza non è prevista dal modello perseguito dal mercato e dalle sue regole. Nessuno di questi fenomeni purtroppo è stato affrontato in modo adeguato se le preoccupazioni e il malessere sociale persiste anzi si estende con l’aggiunta di altri affanni, per così dire, di nuova generazione come le crisi ambientali e i timori non certo trascurabili ad esse legate.

Se l’incertezza aumenta vuol dire che gli esseri umani dovranno rinunciare sempre più al proprio livello di felicità e di soddisfazione perdendo per strada pezzi di libertà individuale, perché il piacere di scegliere liberamente viene meno con il crescere della paura e dell’angoscia. Freud nel “Disagio della civiltà” ha trattato questo argomento pensando che un livello accettabile di libertà, in assenza di certezza, perde di valore anch’esso, sprigionando energie negative e difficili da gestire proprio perché è complicato comprendere la reazione delle persone insoddisfatte e perennemente disorientate e afflitte da incertezza, al punto che potrebbero sorgere seri pericoli nell’affrontare tali restrizioni e per questo se non si interviene “...bisogna rassegnarsi a serie perturbazioni”.
 
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